Toto Bergamo Rossi e Venetian Heritage, tra Giovanni Bellini e la Ca’ d’Oro

Incontriamo Toto Bergamo Rossi, direttore di Venetian Heritage, che sta riscrivendo le regole della filantropia culturale (e quelle del rapporto tra pubblico e privato).

di Marta Galli

Svariate volte aveva trovato le porte del museo riminese “Luigi Tonini” chiuse, e quando due anni fa finalmente riuscì a vedere il dipinto pensò: «Quanto è bello». Ma anche: «Quanto è verde!». È iniziata così, racconta Toto Bergamo Rossi (Francesco all’anagrafe), l’ultima impresa portata a termine dalla Fondazione Venetian Heritage, organizzazione no profit per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio artistico veneziano, che dal 2010 Bergamo Rossi dirige.

L’opera, la Pietà (Cristo morto sorretto da quattro angeli) di Giovanni Bellini, è ora installata, fresca di restauro, al primo piano della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, dove gode della sola compagnia del padrone di casa: un drammatico San Sebastiano di Andrea Mantegna, incastonato sul fondo del suo vano sacro.

Giovanni Bellini Pietà
Giovanni Bellini, Pietà, the painting after restoration by Lucia Tito, Photo Matteo De Fina, Courtesy of Museo della Città “Luigi Tonini”, Rimini.

Commissionata intorno al 1470, presumibilmente da Rainerio di Ludovico Migliorati, consigliere dei Malatesta, la tavola belliniana è stata affidata alle mani delle esperte restauratrici di CBC dopo una storia travagliata. Aveva già subito due interventi da parte di Mauro Pelliccioli e, negli anni Sessanta, la coraggiosa asportazione del supporto ligneo gravemente degradato, compiuta da Otello Caprara e Ottorino Nonfarmale – uno dei maestri di Bergamo Rossi: «Fecero un lavoro esemplare dal punto di vista della struttura; l’estetica era rimediabile: laddove la pittura era caduta, compariva la stuccatura neutra come d’uso all’epoca, e una vernice fortemente ossidata ricopriva la superficie. L’intervento ha ripristinato l’antica cromia e risarcito le lacune: si è optato per una lettura che potesse essere apprezzata da un pubblico più vasto dei soli cognoscenti o storici dell’arte». [Ndr: per un approfondimento sul restauro: La Pietà di Giovanni Bellini restaurata da Venetian Heritage, Marsilio Arte].

Quest’opera è uno dei numerosi tesori che a Venezia hanno beneficiato della ricchezza privata – i Comitati Privati Internazionali per la Salvaguardia di Venezia vantano infatti una lunga tradizione in laguna. Il caso di Venetian Heritage è particolarmente vistoso per via della vasta campagna di restauri che, in ventisei anni, ha interessato edifici sacri, manufatti di oreficeria, arredi lignei, dipinti e sculture dei campioni dell’arte veneta. Adesso il suo munifico intervento non si limita a capolavori «sciolti», ma guarda a progetti articolati all’indirizzo dei musei statali veneziani: «Non solo quel che c’è dentro l’involucro, ma anche l’involucro» puntualizza Bergamo Rossi.

Punto di svolta, nel 2019, fu l’operazione Domus Grimani, splendida dimora adorna così restituita al pubblico. «Un finanziamento di poco superiore a due milioni di euro è bastato per chiudere lavori mai ultimati e ricondurre a casa una parte consistente della collezione di Giovanni Grimani». È stato così possibile riallestire la Tribuna, la stanza alla romana del palazzo – un unicum a Venezia – che è assurta a simbolo del museo, diventato un must see della città.

Tribuna, Palazzo Grimani Museum, Venice – National Archaeological Museums of Venice and the Lagoon. Courtesy of the Ministry of Culture. Ph. Matteo De Fina.

Ora, quando il Bellini partirà alla volta della celebre Morgan Library & Museum a New York (15 gennaio – 19 aprile 2026), prima di tornare a Rimini, dove sarà accompagnato temporaneamente dal San Sebastiano, la Ca’ d’Oro chiuderà i battenti fino a maggio 2027 per completare la ristrutturazione di tutto l’edificio – un poderoso intervento che la Fondazione ha finanziato con 8,5 milioni di euro, mentre un milione di euro, proveniente da fondi ministeriali, servirà per il nuovo ingresso.

Nata dalla diaspora di Save Venice alla fine degli anni Novanta, Venetian Heritage inizia la sua attività con una matrice newyorkese: un gruppo di filantropi della vecchia guardia guidato da Larry (Lawrence) Lovett, già chairman del Metropolitan Opera al Lincoln Center. All’epoca Toto Bergamo Rossi, restauratore titolare di una propria società, collaborava con loro in qualità di advisor; fu lui a suggerire il nome dell’organizzazione: «L’idea era quella di spostare l’attenzione oltre i confini insulari della Serenissima, guardando alla sua eredità storica», spiega. Risale infatti al 2009 il restauro della Cappella dell’Arca di Sant’Antonio a Padova; mentre tra il 2000 e il 2007 l’attività aveva interessato la costa dalmata, con le città di Traù e Spalato, un tempo parte della Repubblica di Venezia. In quell’area, che riemergeva dalla guerra, la Fondazione ha inoltre contribuito a formare nuove generazioni di restauratori, grazie a training e borse di studio in collaborazione con l’Unesco.

Sedici anni fa Lovett passò le redini di Venetian Heritage a Bergamo Rossi che, venduta la sua società, è diventato il motore di un mecenatismo molto intriso di mondanità internazionale, ma guidato da una visione concreta di come si fanno le cose – e da un’idea chiara di quale sia la chiave del successo del fundraising: «Dedichiamo almeno un anno agli studi preliminari e ci scervelliamo su ogni dettaglio perché, una volta avviati i lavori, non ci siano sorprese: informazioni corrette e promesse mantenute. Solo così i donors tornano».

Portego, First Noble Floor, Giorgio Franchetti Gallery at Ca’ d’Oro, Venice – Regional Directorate of National Museums of Veneto. Courtesy of the Ministry of Culture. Ph. JoanPorcelStudio©JoanPorcel.

Tenendo insieme bel mondo e cantiere, il direttore ha organizzato la raccolta fondi per la Ca’ d’Oro, suddivisa per stanze, riuscendo ad allocare risorse anche per i dettagli «meno sexy» dell’operazione: dalla fossa settica ai vetri dotati di pellicola PVB che abbatte raggi UV e IR, fino ai sofisticati e costosissimi macchinari per il condizionamento (va da sé, invisibili). Allo stesso tempo, il restyling degli ambienti va ripristinando il disegno di stampo scarpiano realizzato dall’architetto Mario Semino negli anni Settanta; il cui nucleo fondativo è la raccolta privata del barone Franchetti.

Loggia, First Noble Floor, Giorgio Franchetti Gallery at Ca’ d’Oro, Venice – Regional Directorate of National Museums of Veneto, courtesy of the Ministry of Culture. Ph. Matteo De Fina.

Come già accaduto, anche per la Ca’ d’Oro Venetian Heritage ha fatto nuove acquisizioni, tra cui una coppia di angeli di Giorgio da Sebenico. «Appartenevano a Pierpont Morgan, che li donò poi al MET, dove rimasero in deposito in attesa di un’attribuzione, finché il museo americano non ha deciso di liberarsene. Un membro del nostro comitato scientifico li ha visti nello stand di Bruno Botticelli a Frieze Masters e ce li ha segnalati» [Ndr: qui il link al nostro reportage sull’edizione 2025 di Tefaf].

Nel contesto anglosassone da cui Venetian Heritage trae origine — oggi strutturata su due sedi e due amministrazioni distinte, negli Stati Uniti e a Venezia — vale il principio secondo cui «se hai successo, se ce l’hai fatta, a un certo punto devi restituire». Lo spiega Toto Bergamo Rossi, sottolineando come questa responsabilità si estenda alla cultura. Ecco quindi che il lavoro di Venetian Heritage comprende anche la promozione: organizzare mostre e produrre pubblicazioni per raccontare il lavoro svolto. «Anni fa un’amica mi disse: “Toto, fate cose bellissime ma non lo sa nessuno, dovete essere inclusivi”. All’inizio m’interessava solo salvare le opere — non ci avevo mai pensato,» chiosa, «ma oggi per me è fondamentale fornire le chiavi di accesso. Perché questo patrimonio è di tutti».

Toto Bergamo Rossi Venetian Heritage.
Toto Bergamo Rossi, Director of Venetian Heritage. Courtesy of Venetian Heritage.