Segantini. La luce divisa dal vero

Milano, nello spirito di celebrare quegli artisti che hanno contribuito alla sua fama di città d’arte europea e internazionale, gli ha reso omaggio con una retrospettiva a Palazzo Reale, fino al 18 gennaio 2015, curata da Annie-Paule Quinsac.

di Luca Violo

Spenti son gli occhi umili e degni ove s’accolse l’infinita
bellezza, partita è l’anima ove l’ombra e la luce la vita
e la morte furon come una sola
preghiera, e la melodia del ruscello e il mugghio dell’armento e il tuono
della tempesta e il grido dell’aquila e il gemito dell’uomo
furon come una sola parola,

e tutte le cose furono come una sola cosa
abbracciata per sempre dalla sua silenziosa
potenza come dall’aria.
Partita è su i venti ebra di libertà l’anima dolce e rude
di colui che cercava una patria nelle altezze più nude
sempre più solitaria.

Con questa Laude Gabriele D’Annunzio celebra la morte di Giovanni Segantini, a solo quarantuno anni, con parole che già fanno intendere l’opera di questo Maestro tolto alla vita nel pieno della sua maturità artistica.

Ad Arco di Trento, il 15 gennaio 1858, nasce Giovanni Segantini.

Milano, nello spirito di celebrare quegli artisti che hanno contribuito alla sua fama di città d’arte europea e internazionale, gli ha reso omaggio con una retrospettiva a Palazzo Reale, fino al 18 gennaio 2015, curata da Annie-Paule Quinsac, autrice del catalogo ragionato e maggior esperta di Segantini, e da Diana Segantini, pronipote dell’artista e già curatrice dell’esposizione tenutasi alla Fondazione Beyeler nel 2011.

La mostra presenta, per la prima volta a Milano, oltre 120 opere, di cui molte mai esposte o esposte oltre un secolo fa, provenienti da importanti musei e collezioni private europee e statunitensi.

Un progetto voluto dal Comune di Milano nell’ambito del palinsesto Milano Cuore d’Europa, che da molti anni la città contemplava e che ora è lieta di presentare, in coproduzione con Skira editore in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta, in una veste degna del grande Maestro.

Milano fu per Segantini la città nella quale visse diciassette anni, dal 1865 al 1881, punto centrale per la sua formazione. Frequentò l’Accademia di Brera, dove da subito si distinse per la sue capacità artistiche ottenendo diversi riconoscimenti; strinse amicizia con Gaetano Previati, Emilio Longoni e Angelo Morbelli; conobbe il gallerista Vittore Grubicy che lo sostenne e lo introdusse alla borghesia illuminata meneghina, e il fratello di lui Alberto legato a Segantini da una profonda amicizia.

Vittore Grubicy fu per Segantini un vero e proprio mentore che lo istruì alla pittura e alla cultura in generale. Dobbiamo ricordare che il Maestro ebbe un’infanzia poverissima; a otto anni era già orfano di madre e di padre e privo di una istruzione basilare. Prima che i rapporti fra Vittore e Segantini si deteriorassero per motivi di etica professionale (era arrivato al punto di firmare opere di altri artisti col suo nome), lo spronò alla lettura, alla scrittura, ad informarsi di artisti e movimenti d’oltralpe con cui Grubicy veniva a contatto nei suoi numerosi viaggi (Segantini, come apolide, non poté mai spostarsi dall’Italia e dalla Svizzera).

Nonostante Milano rappresentasse gli anni difficili della sua breve vita, fu anche la città che gli diede la possibilità di emergere nel panorama artistico italiano.

Milano fu per Segantini, portavoce del divisionismo italiano, punto di riferimento imprescindibile anche dopo il suo volontario ritiro nelle montagne svizzere dell’Engadina, dal 1886 in poi, con i suoi quattro figli e la compagna Bice Bugatti, sorella del più famoso ebanista liberty Carlo.

Anche se lontano, nello splendido paesaggio dell’Engadina, Segantini non cessò mai di tenere aperti i contatti con Milano, né gli artisti e i letterati con lui. Riceveva personalità  influenti, in parte incuriositi dalla scelta stravagante dell’artista, in parte affascinati dal paesaggio montano, in parte intrigati dal personaggio da un’aurea romantica ed eccentrica.

Giovanni Segantini amò il lusso, e fin dal suo primo trasferimento in Brianza e più tardi in Engadina, adottò uno stile di vita agiato, al di sopra dei propri mezzi nonostante il successo e gli ingenti guadagni, che comprendeva residenze fastose con servitori in livrea. Questa esigenza nasceva da una parte dal desiderio di riscatto da una povertà ancestrale, e dall’altro da una concezione estetica della vita che, in sintonia con il clima decadente, riguardasse ogni aspetto della vita pubblica e privata. Nello chalet di Kuomi di Maloja, sua ultima casa, la bellezza diffusa era nei mobili Bugatti e nella cura ad ogni dettaglio, seguendo l’eclettismo fin de siècle che tanto doveva all’Arts and Crafts inglese.

La sua produzione epistolare ci presenta un Segantini al passo con i tempi, informato su tutto quanto di rilevante accadesse a Milano, anche se le sue visite erano sporadiche, principalmente in occasioni di manifestazioni quali la Triennale di Brera, le esposizioni nazionali, l’Esposizioni Riunite del 1894, o del concorso per la facciata del Duomo. Da Milano si faceva pervenire riviste, articoli rilevanti, ma anche oggetti che un artista raffinato non poteva far mancare nella sua casa, e di cui ora, riscattata la povertà patita, poteva godere. Partecipava ai dibattiti artistici con suoi testi inviati e pubblicati su riviste d’arte. Insomma, Milano, a dispetto delle poche opere che la ritraggono, fu “strumento” per le innumerevoli opportunità che gli venivano offerte, fu il centro urbano di riferimento, il luogo della sua formazione di pittore e studioso, delle sue amicizie, delle relazioni con i maggiori collezionisti e galleristi, il centro privilegiato dove esporre le proprie opere.  

La mostra si presenta suddivisa in varie sezioni: una introduttiva di documenti, fotografie, lettere, libri, ritratti dell’artista, tra i quali spicca il busto scapigliato di Paolo Troubetzkoy del 1896, che lo mostra fiero e consapevole della sua affascinante grandezza; e una preliminare con quasi tutti gli autoritratti di Segantini, che permettono di percepire l’evoluzione dell’immagine “realistica” che il pittore dà di se stesso nell’Autoritratto all’età di vent’anni (1879–1880), alla progressiva trasformazione simbolista in icona bizantina, nel carboncino su tela del 1895.

Seguono sette sezioni divise per argomento, più una conclusiva.

I – Gli esordi. A questa sezione appartengono otto opere che l’artista produsse a Milano nel pieno della sua formazione, oggi tutte in collezioni private, dove il tema più presente sono i Navigli, come Il naviglio sotto la neve del 1879-1880, e il Naviglio a ponte San Marco del 1880.

II – Il ritratto dallo specchio al simbolo. Sono qui rappresentate diverse figure, da quella contadina alla signora alto borghese, come Il Ritratto della signora Torelli, del 1885-1886, moglie di Eugenio Torelli Viollier, fondatore del “Corriere della Sera”, animatrice del movimento femminista, nonché scrittrice. Spiccano in questa sala Costume grigionese (ritratto di Barbara Huffer) del 1887; il Ritratto d’uomo sul letto di morte del 1884-1886; e  Petalo di rosa del 1884-1890, un olio e tempera su tela con ritocchi in oro e argento, che ci mostra una delicata e sofferente fanciulla sul letto di morte.

III – Il vero ripensato: la natura morta. Tema fra i più di moda dell’Ottocento a cui Segantini non si sottrasse, come Pesci, Natura morta con  uova e pollame, Anatra appesa, giocata sulla talentuosa variazione di toni di bianco su bianco realizzati attraverso magistrali pennellate, tutti datati 1886.

IV – Natura e vita dei campi. Il tema contadino ha sempre suscitato in Segantini un interesse sincero e mai pietistico. Sono uomini e principalmente donne colti nel lavoro dei campi; sono paesaggi mai idilliaci ma rappresentati nella loro realtà vera, pura e autentica; sono figure rubate all’intimità dei loro pensieri, come la ragazza Sul balcone del 1892, o alla vita privata in una dimensione nobilmente semplice, I miei modelli del 1888, dove l’atelier viene trasportato in una dimensione agreste; sono gli animali che pascolano, Alla stanga del 1886, in un paesaggio incontaminato.

Questa attenzione verso il mondo degli ultimi non influì  sul suo stile di vita, anzi, era diametralmente opposto. Segantini non visse né come i contadini, né con i contadini. Amava una vita votata al bello che comprendesse ogni agio che potesse soddisfare la sua sensibilità.

V – Natura e simbolo.  Sentimento, spiritualità, paesaggio. La montagna, le alpi, le immense valli rappresentate nelle diverse stagioni, la luce traslucida e zenitale, l’aria fresca che ci pare di percepire, sono per lui un rifugio dello spirito, in una perfetta simbiosi con la natura. Così ci appaiono Il Ritorno dal bosco del 1890; il Cavallo al galoppo del 1887-1889, che in tutta la sua potenza plastica occupa tutto il perimetro della tela; il frizzante Mezzogiorno sulle Alpi del 1891; La raffigurazione della primavera del 1897; e, infine, la seconda versione, la prima andò distrutta, dell’Ave Maria a trasbordo del 1886, presentata con vari disegni preparatori che rivelano come la versione ultima risulti concentrata sulle figure rispetto al paesaggio.

VI – Fonti letterarie e illustrazioni. Questa sezione mostra l’evoluzione del modus operandi di Segantini attraverso importanti disegni ispirati da opere letterarie e religiose, la Bibbia e Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche. Gli amanti, un carboncino su tela del 1896-1899, già risente dell’influenza simbolista di scrittori come Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e dello stesso Charles Baudelaire.

VII –Il Trittico. “La vita – La natura – La morte”. Purtroppo, per ragioni logistiche, questa sezione manca della creazione più spirituale del Maestro, conservata al Museo Segantini di St. Moritz, e supplita da disegni e studi preparatori, nonché filmati. Considerata un testamento della sua vita di uomo e di artista, l’opera ebbe una lunga gestazione, dal 1896 al 1899, e fu l’ultimo quadro a cui lavorò prima della sua morte, sopraggiunta all’improvviso, per un attacco di peritonite, il 29 settembre del 1899, mentre si trovava sullo Schafberg in Engadina, dove si era recato col figlio Mario e la domestica Baba, per completare il dipinto nel pieno vigore della creazione.

Nella conclusiva sezione il tema è La maternità. Sono presenti altre opere dell’artista, come Le due madri del 1889, conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, e considerato il manifesto del divisionismo italiano alla prima Triennale di Brera: un divisionismo vissuto come la celebrazione di una quiete panica, una sorta di mistico panteismo che Segantini espresse anche nei suoi scritti. Di contro, le due versioni de L’angelo della vita (la prima del 1894-1895, la seconda del 1894-1896), e L’amore alla fonte della vita del 1896, hanno un svolta simbolista in accordo con i movimenti più avanzati del momento, in particolare con Klimt e la secessione viennese.

Un artista solitario ma nel contempo cosmopolita, che uscendo dalla stessa definizione di divisionista è stato capace di rendere assoluta la sua esigenza di entrare in contatto con la natura più profonda dell’animo umano, che nel confronto degli elementi trova la sintesi nell’armonia.