Nessun dolore

Il consiglio è, anzitutto, quello di tornare a visitare la sua Gypsotheca

di Marco Riccòmini

Passati due secoli dalla nascita di Antonio Canova (1957), come un chirurgo dalla mano ferma e dall’occhio clinico, armato di bisturi d’acciaio, pinze di vetro e tamponi di cemento, Carlo Scarpa (Venezia 1906 – Sendai 1978) operò l’anziano paziente, ovvero la casa natale dello scultore a Possagno. L’intervento allora riuscì alla perfezione, e sul tavolo operatorio rimasero i resti palpitanti di pizzi e vecchi anatomici merletti. Non si decise a quel tempo per l’asportazione totale e, a distanza di sessant’anni, nelle stanze della dimora terrena di Canova aleggia ancora un vago odore di muffa e formalina restituito dagli ambienti spogli e dai sofà Biedermeier della nonna (dello scultore?), che le gouaches con rachitiche baccanti e sgraziate danzatrici e le deboli tele alle pareti non fanno nulla per attenuare, anzi. A consolarci dalla dipartita dello scultore più in voga a cavallo fra Settecento e Ottocento non bastava neppure la scarna mostra Canova e il dolore. Le stele Mellerio perché, come recita la canzone Non c’è tensione (Nessun dolore), Non c’è emozione (Nessun dolore). E dunque? Per onorare i due secoli dalla scomparsa del genio di Possagno il consiglio è, anzitutto, quello di tornare a visitare la sua Gypsotheca, volgendo lo sguardo, però, sul moderno arto innestato da Scarpa e sul rapporto armonico che crea coi sublimi gessi che lo abitano. Per ricordarci che, alle volte, seppur raramente, la scatola non è inferiore al contenuto e, in questo caso, ne esalta le forme. Dove si scoprirà che Il vetro non è rotto dal sasso, Ma dal braccio esperto di un ingenuo gradasso.