Mezze verità, utili sciocchi mandati in avanscoperta, accordi inconfessabili, tradimenti, e coltellate alla schiena: la politica inglese, hanno scritto i giornali, è più appassionante di House of Cards, e, aggiungiamo noi, avrebbe fatto la gioia di Machiavelli.
Boris si chiede se di lui non resteranno che le biciclette, Corbyn è sordo alle urla sempre più acute di chi gli vuol far capire che è finita, Sadiq resta nell’ ombra sognando di essere presto leader dei Laburisti e un giorno inquilino di Downing Street, Gove s’affanna a spiegare che non ha tradito un alleato ma ha salvato la patria (excusatio non petita, accusatio manifesta? ), Cameron tace e forse si pente dell’errore che nessun politico dovrebbe mai compiere, mantenere una promessa.
In tutto ciò, ci si aggira per la Londra delle aste e delle gallerie in cerca di un Brexiteer, ma non se ne trovano. Ci si imbatte anzi nella costante comprensione degli inglesi, che chiedono scusa per il pasticcio e ci rassicurano d’essere sempre benvenuti (ci credo, portiamo dobloni……).
E poi si va a Masterpiece, chi a piedi uscendo dal three bedroom di Chelsea fresco di svalutazione, chi in Vespa, chi in metrò. Se ci andate col taxi, occhio perché il tipo di Uber con la Prius non sa bene dove andare e il cabbie potrebbe essere l’unico Brexiteer che incontrerete.
Che dire? La fiera è bella, tanto, come sempre. La struttura è sempre la stessa, ben rodata, con la finta country house giorgiana nei giardini del Royal Hospital, l’ampio salone centrale da cui dipartono i corridoi con gli stand, un grosso bar sempre in fermento, bei ristoranti propaggini delle tavole più ambite in città, e una straordinaria Ferrari GTO a dominare lo sfondo (se all’ asfalto preferite l’ acqua, vi potete comprare un Riva. Non abbiamo verificato se lo si può provare sul Tamigi, che scorre davanti alla fiera, prima di saldare il conto).
E’ chiaro che Masterpiece ce l’ha fatta ed è diventata una data canonica della season, dei posti dove si deve essere invitati, a ogni costo, pena la morte sociale. E’ lì, con Ascot, Glyndebourne, Wimbledon.
E’ chiaro che Masterpiece ce l’ha fatta ed è diventata una data canonica della season, dei posti dove si deve essere invitati, a ogni costo, pena la morte sociale. E’ lì, con Ascot, Glyndebourne, Wimbledon. Al vernissage c’erano sangue blu d’ogni nazione, denari antichi e recenti, gran dame e belle giovini, ragazzoni che poche ore prima giocavano a polo e gentiluomini con la giacca rammendata non per copiare Prince Charles ma perché, come lui, alfieri di un’ eleganza che non ha incertezze. Non potevano mancare le fashion victims, le Brexit victims (“ Non posso credere che il mio Paese sia così stupido”), e gli ineffabili scrocconi di champagne e di inviti: insomma, tutto esaurito!
Cancellata dunque ogni residua nostalgia di Grosvenor House, grazie anche al lavoro inarrestabile e silenzioso di Philip Hewatt-Jaboor, Masterpiece riflette sempre la predilezione del mercato d’oggi per l’archeologia, il Novecento, il contemporaneo, e a questo si sono adattati quasi tutti gli espositori. Merita un encomio Cesare Lampronti, vessillifero dei dipinti antichi che a differenza degli altri quadrai espone solo un’ opera fatta dopo il 1800, un bellissimo Boldini che un collezionista intelligente si è portato a casa con una mossa rapida e discreta.
La conta degli espositori italiani è lunga e prestigiosa, ma soprattutto è importante ricordare che se gli inglesi hanno fatto il capriccio della Brexit, noi ci siamo presi la soddisfazione di fare il pieno di premi. Italiani sono i vincitori del titolo per il miglior dipinto antico (un Vanvitelli da Robilant & Voena), per la miglior scultura (il busto di Paolo Emilio Campi scolpito da Sebastiano Pantanelli, presso i fratelli Brun), e per la miglior opera di un artista vivente (un Castellani strepitoso portato da M & L Fine Art).
Italiano è anche il vincitore del premio per il migliore oggetto di design contemporaneo, l’orafo padovano Giovanni Corvaja, esposto da Adrian Sassoon.
Tra le opere che ci hanno colpito nella mostra, un favoloso Wildt da Dario Mottola, la grande riscoperta dei bronzi di Hopfgarten e Jollage da Alessandra Di Castro, un comodino fatto da Giovanni Galletti per i Savoia da Burzio, l’'elegantissima copia in sughero dell’Abazia di Westminster da Paolo Antonacci, e la straordinaria Eclisse a Venezia di Caffi da Pallesi.
Correte a Masterpiece se potete, e approfittate della Sterlina ai minimi storici!
Ultim’ora: Si è dimesso Farage. Di solito sono le sconfitte a non avere padri. Che i vincitori abbiano paura di aver perso?