In ogni ritratto convivono tre realtà distinte e indissolubili: del committente, del contesto e dell’artista. Nei ritratti di Lorenzo Lotto questa compresenza è arricchita dalla naturale inclinazione del pittore verso un’analisi psicosomatica attentissima, dalla sua capacità di assorbire le peculiarità degli ambienti storici e culturali in cui venne a operare e – infine – dalla sua tendenza, sempre più marcata nel tempo, all’immedesimazione, ovvero a riversare nelle immagini dei suoi clienti la mutevolezza dei suoi stessi stati d’animo. Questa commistione pulsante e non lineare è ciò che rende peculiare la ritrattistica lottesca, il suo punto forte e insieme il suo punto debole. Perché le tre realtà risaltano a intermittenza, non sempre in un rapporto armonico, nelle ondivaghe congiunture della sua parabola artistica ed esistenziale.
"Personaggio notoriamente di indole inquieta, ebbe una vita poco stanziale. Visse in un’Italia non meno inquieta e instabile di lui, passando dalla metropoli alla periferia, e viceversa, alla ricerca del proprio spazio operativo ideale. "
Personaggio notoriamente di indole inquieta, ebbe una vita poco stanziale. Visse in un’Italia non meno inquieta e instabile di lui, passando dalla metropoli alla periferia, e viceversa, alla ricerca del proprio spazio operativo ideale. Era perfettamente consapevole dell’eccellenza della sua tecnica e dell’originalità delle sue invenzioni, che risultavano spesso deliberatamente diverse da quelle di tutti gli altri. Per questo sentì il richiamo della ‘metropoli’, fosse essa la sua Venezia o la Roma di Giulio II, laddove risiedevano i committenti più importanti e danarosi. Ma non sempre costoro seppero riconoscersi nelle proposte che offriva loro. Il risultato fu che – orgoglioso com’era – finì spesso per autorelegarsi in luoghi periferici in cui il prestigio e l’eccellenza che fin da subito lo avevano accompagnato gli restituivano quello spazio creativo autonomo a cui non sapeva rinunciare. Tuttavia anche tali aree marginali – in cui operò per la maggior parte della carriera e che la sua stessa presenza contribuì a cambiare artisticamente (cosa sarebbe stata la pittura a Bergamo, cosa nelle Marche, se Lotto non vi si fosse radicato?) – non bastarono a soddisfare l’ego contraddittorio di Lorenzo, che in esse soffriva la mancanza di orizzonti più vasti e di esperienze lavorative più stimolanti. Insomma: un potenziale cortocircuito perenne. E infatti questo continuo rimbalzo tra luoghi territoriali e mentali, unitamente alle difficoltà crescenti che si trovò ad affrontare nella vita, lo resero oscillante sul filo di un equilibrio precario che si riflette su parte della sua produzione.
"Se si confrontano i suoi primi ritratti con gli ultimi, ci si rende conto che a posare innanzi al suo cavalletto furono i cittadini di tante ‘Italie’, portatori di bisogni, valori e sensibilità tra loro disomogenei. "
Quella ritrattistica, però, in più dichiara visivamente il rapporto che egli seppe, o non seppe, instaurare con la rete di clientela con cui entrò in contatto. Se si confrontano i suoi primi ritratti con gli ultimi, ci si rende conto che a posare innanzi al suo cavalletto furono i cittadini di tante ‘Italie’, portatori di bisogni, valori e sensibilità tra loro disomogenei. Per lunghi tratti egli seppe interpretarli: o meglio, gli strumenti interpretativi a sua disposizione si dimostrarono idonei all’impresa. Ma non sempre fu così. A Roma fu un pesce fuor d’acqua; nella sua Venezia, dopo i primi anni trenta, risultò un atipico, che divenne prima un disadattato e poi quasi un ‘caso umano’, accerchiato da incomprensioni, sospetti e miseria, che alla fine lo costrinsero a cercare pace nel santuario mariano di Loreto. Perché le cose andarono così? Perché il pictor celeberrimus degli esordi si trovò a mendicare pagamenti, a lavorare senza commissioni, a sperare nel buon cuore degli amici? I molti documenti a nostra disposizione (atti notarili, lettere, testamenti, il Libro di spese diverse che registra i lavori nell’ultimo quinto della sua carriera) ci consentono di individuare alcune risposte, fermo restando che le carte non possono e non potranno mai spiegare tutto.
In questa mostra – curata da Miguel Falomir, direttore del Prado, e da chi scrive, con la collaborazione di Matthias Wivel, della National Gallery di Londra – si cerca di evidenziare come si imposta ed evolve nel tempo l’approccio ritrattistico lottesco, e a seguito di quali fattori prende le direzioni che lo renderanno eccezionale. Ai dipinti (38) e ai disegni (10) si accompagnano numerosi oggetti d’epoca – tappeti, abiti, gioielli, libri, sculture classiche e rinascimentali … – , simili a quelli rappresentati dal pittore, che aiutano a ricostruire la dimensione sociale e materiale del mondo di cui egli fu espressione.
*Il testo riprende l’avvio del saggio di Enrico Maria Dal Pozzolo in catalogo (Three Portraits of Lorenzo). Il catalogo, Editorial Museo Nacional del Prado, è disponibile in edizione inglese e spagnola.