Lo zoo comunale

Ve le ricordate ancora quelle stanze vuote, la luce che, nel silenzio, scende pulviscolare dai lucernari?

di Marco Riccòmini

«Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale … per vedere come stanno le bestie feroci. E gridare: “Aiuto, aiuto è scappato il leone!” e vedere di nascosto l’effetto che fa». Si potrebbe andare tutti quanti ora che è primavera… – è già estate, altroché! – a veder qualche mostra o qualche arte “fiera” (ve li ricordate i leoni a Milano?), e se invece si scegliesse una meta sincera? «Per vedere di nascosto l’effetto che fa». Anche «con la bella sottobraccio», perché no?, al posto di cercare “l’evento”, potremmo andare controcorrente, riscoprendo le nostre collezioni permanenti. Ve le ricordate ancora quelle stanze vuote, la luce che, nel silenzio, scende pulviscolare dai lucernari? Il naso all’insù teso verso quel vecchio a cavallo d’un aquila (sarà Giove?), o la schiena curva verso un cartellino; il sorriso quando si azzecca un nome, la smorfia quando quel nome non ci convince. Il gridolino di piacere quando si ritrova una vecchia conoscenza, l’occhiataccia del custode, ripresosi dal suo sonnecchiare. E, in qualche caso, abbracciare con un solo sguardo un busto di Vitellio, un’urnetta cineraria etrusca, una piastrella invetriata col trionfo di Shapur accanto a un Mitra che sgozza il toro, un Giano bifronte, un torso di Ercole con la pelle del leone annodata al collo come un foulard, tra frammenti di mosaici e rocchi di colonne. Un fuoripista ardito – sia chiaro – per chi ama il rischio (di passare per snob) e che richiede di lasciare da parte le gite a Firenze, Roma o Venezia. «E scoprire che va sempre a finire che piove, e vedere di nascosto l’effetto che fa».