La vendita della collezione Ferroni nelle fotografie di Federico Zeri

In una cartella “periferica” della fototeca, separata da quei sistemi organici e ordinati costituiti dalle sezioni principali dell’archivio, sono conservate alcune fotografie relative ad allestimenti storici di musei e collezioni private. Tra queste immagini, positivi miscellanei dall’elevato interesse documentario, è un piccolo gruppo di sei aristotipi che le iscrizioni sul retro permettono di ricondurre con […]

di Francesca Mambelli

In una cartella “periferica” della fototeca, separata da quei sistemi organici e ordinati costituiti dalle sezioni principali dell’archivio, sono conservate alcune fotografie relative ad allestimenti storici di musei e collezioni private. Tra queste immagini, positivi miscellanei dall’elevato interesse documentario, è un piccolo gruppo di sei aristotipi che le iscrizioni sul retro permettono di ricondurre con sicurezza all’archivio della casa di vendita Sangiorgi. La scarsa qualità delle riproduzioni, spesso storte, non rifilate e con grossi problemi conservativi conseguenti ad un cattivo sviluppo e fissaggio, denuncia il loro essere materiale di lavoro (f.01, 02, 07).

Le fotografie riproducono alcune stanze alle cui pareti sono appesi o addossati, spesso in modo ridondante ma mai caotico, oggetti diversi: disegni e cornici, mobili e suppellettili, rilievi e bronzetti, ceramiche, dipinti. L’identificazione dei pezzi, in particolare dei quadri, ha portato all’immediato riconoscimento della collezione documentata con quella già appartenuta all’antiquario Gioacchino Ferroni (Marina di Pietrasanta (?) – Roma, 1909). Le fotografie delle singole opere della raccolta – anch’essi aristotipi – ritornano infatti nelle cartelle monografiche dei pittori o scultori a cui Zeri le attribuiva e sono facilmente rintracciabili nel database della Fondazione ricercandoli, appunto, sotto la provenienza Ferroni.


Professionista stimato per competenza e onestà, cognato del famoso antiquario Stefano Bardini, Ferroni era giunto nella capitale nel 1898 e qui aveva intrapreso la via del commercio, trattando in particolare opere italiane del Quattro e Cinquecento.


Professionista stimato per competenza e onestà, cognato del famoso antiquario Stefano Bardini, Ferroni era giunto nella capitale nel 1898 e qui aveva intrapreso la via del commercio, trattando in particolare opere italiane del Quattro e Cinquecento. Tra i suoi pochi, selezionatissimi clienti figuravano personaggi del calibro di Wilhelm von Bode, direttore del Kaiser Friederich Museum di Berlino, il grande collezionista tedesco Adolf von Beckerath, lo storico dell’arte Richard Norton e il principe del Liechtenstein. All’attività antiquaria egli associò la pratica scultorea e la passione collezionistica, comprando negli ultimi anni della sua vita molte importanti oggetti di primo Rinascimento allora disponibili sul mercato.
Prima della morte egli dispose che l’alienazione della sua collezione fosse seguita da una casa di vendita a scelta tra Jandolo & Tavazzi e Galleria Sangiorgi. Queste ultime decisero di unirsi per organizzare al meglio l’evento. Di certo, prima delle aste intercorse uno scambio fra i diversi agenti e commissaires-priseurs per concordare dati e quotazioni  dei singoli lotti, sulla base delle indicazioni lasciate da Ferroni. Di questo “dialogo” rimane traccia negli interessantissimi versi delle fotografie. Dietro ad ogni immagine, in corrispondenza delle opere raffigurate sul recto, si sovrappongono varie iscrizioni con differenti calligrafie che riportano talora considerazioni stilistiche, storiche e qualitative, talora solo sigle o cifre. Alcune di queste scritte sembrano attribuibili allo stesso Ferroni. Si legge infatti, in riferimento ad una statuetta in legno di S. Sebastiano: «La credo del Civitali. Altri vogliono che sia del Foppa milanese. Beckerath la vorrebbe acquistare, però non vuol pagarla. Ho domandato il prezzo di £ 10.000. A me costò poco, ciò non vuol dire!» (f.03). O ancora, su una tavola con Madonna con Bambino e angelo, su cui torneremo in seguito: «Bode attribuisce al Verrocchio. Vendersi £ 25.000. A me costò £ 5.800» (f.04). Il collezionista quindi, oltre ad aver individuato gli agenti e i luoghi per l’alienazione e suggerito le attribuzioni, avrebbe anche lasciato precise indicazioni sui prezzi a cui vendere le proprie opere.
   
È quindi probabile che le foto documentino luoghi legati al Ferroni che aveva allestito la sua base romana in un palazzo in via di Porta Pinciana: non tanto gli interni della residenza privata quanto piuttosto i locali dello studio in cui l’antiquario teneva in deposito molti pezzi della sua collezione personale.
In seguito al decesso del proprietario le opere furono trasferite presso la sede di Jandolo & Tavazzi dove si svolsero le due aste che portarono alla dispersione della raccolta.
Le vendite ebbero luogo rispettivamente dal 14 al 22 aprile del 1909 e dal 14 al 22 marzo 1910.
Di entrambe le aste Federico Zeri conservava, nella sua straordinaria biblioteca, i cataloghi di vendita. L’esame del catalogo del 1909 ha permesso di risalire al fotografo autore delle illustrazioni. Una piccola nota posta in calce alla pagina che introduce le tavole riporta il nome del fotografo romano Luigi Rocca (francesizzato nel catalogo in «Louis Rocca») e l’indirizzo del suo laboratorio: via del Babuino 91. Un locale quindi vicino, se non attiguo, alla sede della casa di vendita Jandolo & Tavazzi che operava all’epoca in via del Babuino 96-97.
Le notizie reperibili su Luigi Rocca, di cui ignoriamo data di nascita o di inizio dell’attività, sono piuttosto scarse. La prima menzione rintracciata è quella dell’Elenco Generale dei fabbricanti, negozianti e fotografi d’Italia, pubblicato all’interno dell’«Annuario del Corriere fotografico di Milano». Il documento è privo di data ma una serie di verifiche incrociate permettono di collocare la sua stesura intorno al 1906. Un riferimento a Luigi Rocca compare anche nel catalogo dell’Esposizione e Concorso internazionale di Fotografia di Torino del 1911, occasione in cui venne esposta una sua fotografia riproducente il fregio di Angelo Zanelli del monumento a Vittorio Emanuele II a Roma.
Entro quest’arco cronologico si situa l’attività documentata del fotografo per case d’asta e antiquari romani. Oltre che sul catalogo Ferroni il nome di Rocca si ritrova infatti in quelli delle vendite delle collezioni Castellani, Cosentini e Janniello, curate da Jandolo & Tavazzi rispettivamente nel 1907, 1908 e 1911.
A Luigi Rocca si devono anche le illustrazioni del Catalogo generale della Galleria Sangiorgi del 1910. Nella prefazione a questo volumetto è inserita una annotazione interessante relativa alla documentazione fotografica. Viene infatti specificato che «la Galerie Sangiorgi envoi, sur une simple domande, des photographies en grandes dimensions des objets illustrés dans ce catalogue, ainsi que tout ceux qui enrichissent son importante collection». Lo stesso servizio di riproduzione, ma al prezzo di 5 franchi a stampa, viene fornito anche per tutti i lotti della vendita Ferroni, come espressamente indicato nell’introduzione del catalogo.


Le notizie reperibili su Luigi Rocca, di cui ignoriamo data di nascita o di inizio dell’attività, sono piuttosto scarse. La prima menzione rintracciata è quella dell’Elenco Generale dei fabbricanti, negozianti e fotografi d’Italia, pubblicato all’interno dell’«Annuario del Corriere fotografico di Milano».


Non sembra che questi materiali possano essere identificati con i numerosi – e già ricordati – aristotipi riproducenti le singole opere Ferroni suddivisi nelle cartelle di Zeri (f.05, 06, 08). La presenza sul retro di queste immagini di segni destinati ai tipografi, in particolare indicazioni sulle misure e sull’orientamento delle immagini nella pagina, porta al contrario ad identificare queste fotografie con quelle utilizzate per la creazione dei clichés del catalogo.

C’è però tra le foto di Zeri una stampa al carbone di maggiore qualità, e di dimensioni più grandi, relativa a un’opera Ferroni. Essa riproduce la già citata tavola con Madonna con Bambino e donatore (?), attualmente in ubicazione sconosciuta, classificata da Zeri tra gli anonimi romagnoli del sec. XV ma passata in asta come Andrea Verrocchio (f.09). Il carbone, in ottimo stato di conservazione nonostante alcune pieghe lungo i bordi, traduce perfettamente i rapporti tonali del dipinto e permette di apprezzarne i dettagli. L’ipotesi che si tratti di una riproduzione realizzata in occasione dell’asta per un possibile acquirente è suffragata dal fatto che sul retro compare un’iscrizione a matita (di un’altra calligrafia rispetto a quelle presenti negli aristotipi) con la cifra «£ 25.000», il prezzo a cui il dipinto fu effettivamente posto in vendita nel 1909.

Solo per le opere della collezione Ferroni siamo quindi in presenza, nella raccolta di Zeri, di tre tipologie diverse di materiali fotografici, alcune delle quali riconducibili all’attività di Luigi Rocca: aristotipi con vedute di insieme realizzati velocemente in funzione dell’organizzazione della vendita; positivi utilizzati per la stampa del catalogo, ottenuti anch’essi con la tecnica dell’aristotipo ma con una maggiore attenzione al fissaggio e al taglio dell’immagine; infine, stampe al carbone di elevata qualità e stabilità destinate ai clienti delle casa d’asta. Una testimonianza ulteriore di come la fotografia, anche rimanendo nel ristretto campo della documentazione delle opere d’arte, per le diverse finalità, tecniche e professionalità con le quali è prodotta (e riprodotta), rappresenti un universo complesso che sfugge ad ogni tentativo di semplificazione o di riduzione dei fototipi al loro puro contenuto iconografico.


Pubblicato in "I colori del bianco e del nero. Fotografie storiche nella Fototeca Zeri 1870-1920" edito dalla Fondazione Federico Zeri.