La scelta del cavallo giusto

Per chi compra in galleria il peggio è già passato

di Antonio Pepe

Batte fortissimo il sole ma non rischiara granché, a causa del gran polverone di terra sospeso ad altezza occhi. Siamo in un ippodromo perché è qui che ho scelto di far iniziare il gioco, ammetto subito però che di corse di cavalli non ci capisco nulla. Poco importa.
Immagina di star camminando fra gli spalti studiando l’ambiente che ti circonda; il caldo ti dà alla testa, l’aria secca e la polvere ti irritano gli occhi, eppure niente può distrarti dalle tue valutazioni. Sono due i candidati che hai individuato e dopo un’analisi lenta, lentissima, maniacale, conosci a memoria i pregi e i difetti di entrambi. Il primo: performante, salute ottimale, è la star indiscussa dell’ippodromo e lo sa già chiunque, il difetto è proprio la banalità della scommessa. Il secondo: nuovo arrivato, nessun carattere speciale ma dall’esperienza accumulata intuisci che ha l’aria del fuoriclasse. Nessuno punterà su di lui, voci di corridoio lo vogliono zoppo. L’allibratore si avvicina e rompe il flusso dell’indecisione, è il momento di scommettere: su quale cavallo punti? Non importa! Esatto, non importa. O almeno così dicono i risultati degli studi sulla “Postdecision dissonance” dei due psicologi canadesi Knox e Inkster (1968), frutto di ricerche svolte proprio in un ippodromo. Per farla breve, qualsiasi scommessa ci sembrerà un affare nei momenti subito precedenti o successivi alla puntata, il cervello aggiusta la realtà per bisogno di coerenza. Poi però arriva il conto, con tanto di paranoie, le scommesse si vincono e si perdono. Per dirla alla Gigi Proietti in Febbre da Cavallo: “er gioco è una cosa serissima. Perché chi scherza lo fa pe divertisse, ma chi gioca punta, s'illude, s'inventa un lieto fine… Che non arriva mai”. Ora applichiamolo al settore arte. Il pericolosissimo mestiere dell’antiquario è, fra le tante cose, un funambolico gioco di scommesse su delle intuizioni, a volte geniali. Tra i nemici troviamo i meccanismi del cervello degli antiquari stessi. Ma per chi compra in galleria nessun rischio all’orizzonte, il peggio è già passato.
Vorrei tirare le fila del discorso ma vengono storte: ogni opera d’arte ha il potenziale di un cavallo zoppo.