I mercanti in aula, seduti dal giusto lato

Il contributo che gli antiquari possono dare al settore degli studi

di Antonio Pepe

Un buon motivo per iniziare a insegnare la storia del mercato in università: si ha paura di ciò che non si conosce. L’attenzione sul panorama contemporaneo non va intesa come proposta di una storia dell’arte alternativa, al contrario, quanto avrà pesato la conoscenza delle maggiori collezioni aristocratiche sulla formazione di Berenson, di Longhi, di Zeri? Attenzione però alle semplificazioni. Una bella espressione che sta prendendo piede, e che personalmente trovo anche suggestiva, ma che non sempre viene colta nel giusto senso, è quella che rievoca una storia dell’arte “privata”. Facciamo un passo indietro, certamente letta in questo modo non ha ragione di smentita: i musei non sono gli unici detentori del patrimonio artistico e le collezioni private hanno uguale necessità di essere valorizzate. Il problema è che nella mente dei più la storia dell’arte “privata” rischia di essere interpretata come alternativa alla storia dell’arte “pubblica”, l’eterna lotta del bene contro il male.


"Il problema è che nella mente dei più la storia dell’arte “privata” rischia di essere interpretata come alternativa alla storia dell’arte “pubblica”, l’eterna lotta del bene contro il male."


Usciamo da queste dinamiche, quante storie dell’arte esistono? Io direi una sola, quella delle opere d’arte. Da questo punto di vista la storia dell’arte ortodossa, “quella sui libri” per dirla in modo bruto, è condizione necessaria ma non sufficiente. Chi lo ha capito si impegna già a incentivare sempre di più l’incontro di mondi sì diversi ma che hanno in comune una cosa, le opere d’arte. Il buon esempio ci è dato dalle iniziative del VIVE partorite dalla mente lucida della direttrice Edith Gabrielli, un intero anno per quaranta incontri dedicati all’arte, fra questi anche il “Ciclo mercato dell’arte” in collaborazione con l’Associazione Antiquari d’Italia. Con maggiore frequenza poi gli antiquari sono chiamati a tenere lezioni universitarie, raccontando il mercato e la loro esperienza, che è sempre storia dell’arte (e non di serie B). Pensandoci meglio, la famigerata storia dell’arte “privata”, che va raccontata, è la stessa di cui già scriveva Marcantonio Michiel, per dirne uno fra tanti, nei suoi viaggi fra le collezioni delle famiglie patrizie del nord Italia. Il contributo che gli antiquari possono dare al settore degli studi, dunque, non è solamente legato alle pubblicazioni delle loro scoperte, ma anche alla divulgazione delle loro conoscenze ed esperienze, che, a volte, pesano più dei libri.