«Lo vede quello di spalle? – e indica una grande foto incorniciata che ritrae una barca a vela inclinata dal vento tra alti flutti – sono io. Giunsi secondo al campionato europeo di vela d’altura di Sanremo, nel 2019». «Timoniere anche nella vita?», azzardo. «Un tempo; adesso alla vigilia degli ottant’anni, non ne sono più sicuro» dice, lasciando la frase a metà, mentre gli occhi corrono alle foto di famiglia sparse tutt’attorno, e passa un attimo di silenzio. Di Bartolozzi si parlava già cent’anni fa, quando il bisnonno Guido («garzone d’un antiquario inglese», precisa) acquistò il palazzo in via Maggio. E, dopo un’infilata di sale e saloni stipati come una caverna di Alì Babà di arazzi, busti in marmo («Piamontini», butta lì, con noncuranza), vedute di Firenze e grandi vasi orientali a balaustro («ho un gusto eclettico», dice quasi per scusarsi), la vista dall’altana con affaccio su Palazzo Pitti lascia a bocca aperta. «Forse uno degli oggetti che mi rimangono più nella mente è quel piano di pietre dure della fine del Cinquecento che esposi alla Biennale di Firenze, mentre tra i dipinti mi inorgoglisce la vendita agli Uffizi del Matrimonio tra Maria de’ Medici ed Enrico IV di Navarra dell’Empoli, in cornice originale». Poi, attraversando il cortile, punta il dito verso un gigantesco tavolo in marmo policromo poggiante su due grifoni in pietra serena e scuote la testa. «Quello era destinato al mio miglior cliente, ma ora con la guerra…» Non lo dice, ma si sta riferendo al mitico “cliente russo” con un castello in Toscana. E chi non rimpiange quei bei tempi di pace?
Guido Bartolozzi Antichità
di Bartolozzi si parlava già cent’anni fa
di Marco Riccòmini