Quali opere, persone, incontri sono stati importanti per renderla l’antiquario di oggi?
Raramente venivo a Firenze in quell'inizio degli anni Sessanta. Per le mie ricerche mi allontanavo poco da Figline, dove risiedevo. Ogni casa, ogni fattoria, ma anche le chiese e i conventi erano ricche di opere antiche che volentieri i proprietari vendevano, non essendoci ancora la moda di arredare le case con mobili d'epoca. In quegli anni si potevano ancora trovare bei mobili, quadri e sculture tutte della stessa epoca, il Seicento, secolo negletto e ignorato dalle generazioni degli antiquari precedenti.
Eppure mi sembrava, a me giovane ricercatore, un secolo bellissimo con opere piene di invenzioni ‘indisciplinate’. Gli architetti d'interni cercavano allora mobili minimalisti con vaghissime allusioni neo neo neo-rinascimentali; era molto difficoltoso riuscire a vendere un bel cassettone di noce, un bel tavolo o delle belle sedie barocche. Era difficile anche vendere un dipinto di Jacopo Vignali o di Cecco Bravo o un bel bronzo di Massimiliano Soldani Benzi; eppure erano belli e costavano poco.
I pionieri di questo collezionismo furono studiosi come Piero Bigongiari, Mina Gregori, Carlo del Bravo e la farmacista Lia Cisbani.
Ci vollero non pochi anni per imporre questo stile. Gli antiquari che più di altri anticiparono tale gusto furono a Firenze Leonardo Lapiccirella, Marcello Guidi, Giovanni Bruzzichelli e Gianfranco Luzzetti, oltre al sottoscritto; a Torino Pietro Accorsi; a Milano Sandro Orsi e Nella Longari; a Venezia Ettore Viancini, e a Roma Franco Di Castro e Fabrizio Apolloni. Non mancavo, ogni qual volta che mi recavo in queste città, di andare a guardare le loro vetrine, che erano per me fonte di grande insegnamento, e di esplorare l'interno delle loro botteghe; grazie a questa consuetudine, che costituiva motivo di attente riflessioni, non tardai a decidere di conservare le opere più belle che riuscivo ad acquistare.
Nella primavera del 1987, in concomitanza con la grande mostra antologica di palazzo Strozzi sul Seicento fiorentino, curata da Mina Gregori, inaugurai a Palazzo Ridolfi una mostra-corollario dedicata agli artisti fiorentini del Seicento che ero riuscito a raccogliere nel corso degli anni. L'esposizione, presentata in catalogo da Giuliano Briganti e Giuseppe Cantelli, con schede a firma di giovani storici dell'arte, ebbe un grande successo di critica ma non di cassetta, ma ciò non fu motivo per me di dispiacere.
Per rispondere alla sua domanda su come si diventa antiquario, le dirò che il mestiere non si impara a scuola: sono gli incontri con le opere e le persone che aiutano a sviluppare l’esigenza di approfondimento e l’esperienza. Le opere sono come dei segmenti sparsi che, assemblati e ordinati insieme, compongono la cultura dell'antiquario. Poi alla base c’è sempre la ricerca, la passione per un’epoca, per una scuola, per un artista in particolare. I balbettii dei primi acquisti e l’ansia per comprenderli mi portavano inevitabilmente al confronto con persone che, nel corso della mia vita, avrebbero avuto un ruolo di guida e di metodo, ovvero gli studiosi che correggevano la spinta iniziale con osservazioni meno passionali.
Ma l'esaltazione dell'ultimo acquisto continua a pulsare ancora oggi e, nella scala delle mie preferenze, assume il temporaneo ruolo di protagonista che può protrarsi più o meno a lungo, poiché il perdurare di questo sentimento dipende dalla qualità dell'opera.
L’antiquariato italiano in questi ultimi decenni ha visto mutare la propria fisionomia da fornitore di arredi per le grandi e piccole abitazioni borghesi e aristocratiche a veri e propri vettori di ricerca storico-artistica dove l’antiquario diviene medium tra lo sviluppo della conoscenza e il collezionismo. Quali sono gli aspetti principali di questa trasformazione?
Grazie al potenziarsi degli studi – spesso indirizzati dagli stessi antiquari – e alla messa a fuoco di personalità e scuole periferiche, oggi disponiamo di un quadro della storia dell'arte molto più chiaro che consente di collocare ogni artista, maggiore o minore che sia, in una visione storico-artistica più ampia e complessa. Oggi non vi è più spazio per l'empirismo del passato che tanti danni e illusioni ha procurato al collezionismo pubblico e privato; oggi il collezionismo è, di gran lunga più avveduto e non ammette né ipotesi, né ottimismo.
Ogni antiquario, fra le proprie dotazioni, ha un’agenda con i nomi dei migliori specialisti in ogni disciplina artistica; e l’opera, se accompagnata da una scheda rigorosa e autorevole sotto il profilo scientifico, può affrontare le vicende del mercato dell'arte internazionale.
Per molti anni è stato a capo dell’Associazione Antiquari d’Italia e della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, un ruolo di spicco che gli ha dato modo di essere a contatto con i vertici politici che gestiscono il nostro patrimonio artistico. Quali sono stati i risultati più significativi di questo rapporto, e come si può tutelare e promuovere insieme questa immensa eredità culturale?
Il mercato dell’arte antica nel nostro paese è vittima di luoghi comuni, che difficilmente possono essere rimossi, e le leggi di tutela risentono di questo clima.
Solo nei rapporti personali si possono ricevere atti di stima e di fiducia con piccole concessioni significative. Basterà ricordare il privilegio di cui gode la Biennale dell’Antiquariato di Firenze che è già in grado di conoscere quali sono le opere che hanno ricevuto l'attestato di Libera Circolazione il giorno stesso dell'inaugurazione; e ciò grazie alle commissioni riunite di Firenze e Roma, chiamate a esaminare le opere con richiesta di attestato. Questa concessione fu da me proposta ad Antonio Paolucci al tempo in cui egli ricopriva il ruolo di Sovrintendente, e io avevo appena ricevuto l'incarico di Segretario Generale della Biennale; tale richiesta venne avanzata per rendere effettivamente internazionale la rassegna fiorentina e Paolucci ne comprese l'importanza e si adoperò per farcela ottenere.
Nel corso delle sette trascorse edizioni che si sono avvalse di tale conferimento, sono stati rilasciati oltre mille attestati, facilitando notevolmente l'attività degli antiquari nei confronti dei visitatori internazionali, con un plus-valore economico di grande rilievo. Inoltre i numerosi contatti con la Direzione Generale dei Beni Culturali, gli ottimi rapporti con le Soprintendenze italiane, e la conoscenza personale dei Generali che si sono succeduti al comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico hanno liberato il campo da diffidenze storiche.
Ovviamente gli intralci che continuamente rendono difficile l’attività internazionale degli antiquari italiani sono stati segnalati nei frequentissimi incontri avuti con le autorità di Tutela e pare che finalmente alcune modifiche verranno apportate alle norme vigenti. Carlo Orsi, Presidente dell'AAI, persiste in queste sollecitazioni che dovrebbero, a breve, dare i loro frutti.
Quali peculiarità deve avere la Biennale per mantenere il suo ruolo di protagonista nel mercato internazionale dell’arte?
Con le premesse di cui sopra il nuovo Segretario Generale della Biennale, Fabrizio Moretti, non ha bisogno di tanti consigli poiché lui stesso è un mercante cosmopolita e perciò conosce a memoria tutti i meccanismi del mercato dell'arte ai suoi più alti livelli. Le idee che sta mettendo in atto miglioreranno sicuramente il trend internazionale della Biennale; anche gli inviti estesi a nuovi espositori aiuteranno ulteriormente a innalzare il livello della grande manifestazione fiorentina. Sicuramente Moretti non dimenticherà l'importanza dei restauri sponsorizzati dalla Biennale a favore dei musei cittadini, come pure, siamo certi che spenderà tutte le sue energie per mantenere le commissioni miste per gli attestati.