"Giotto parlava con papi, cardinali, banchieri e regnanti": Serena Romano, curatrice con Pietro Petraroia della mostra aperta il 2 settembre a Palazzo Reale a Milano e in corso fino al 10 gennaio 2016, ama presentare l’artista toscano come una "star". Ai suoi tempi come oggi, il suo nome è così altisonante da far tremare i polsi a chi si azzardi ad attribuirgli un’opera.
Così, per scongiurare qualsiasi polemica che solitamente accompagna, più o meno, le mostre d’arte non solo antica, si è scelto di esporre solo opere certe, documentate e super accreditate dalla critica. Il risultato: un vero e proprio distillato di 9 tavole, tra le quali cinque polittici due dei quali dipinti recto e verso, e cinque frammenti di affreschi, quattro dalla chiesa di Badia (Firenze) e in deposito presso il Polo Museale Regionale della Toscana, e uno staccato dalla Basilica di San Pietro, con Due teste di Apostoli o santi. Quest’ultimo proviene da una collezione privata che lo conserva gelosamente nascosto in un caveau, ma che comunque è stato raggiunto dagli organizzatori che riescono a renderlo visibile al pubblico per la prima volta. Unico frammento esistente della decorazione ad affresco che il cardinale Jacopo Stefaneschi commissiona a Giotto intorno al 1315-20, nello steso momento in cui il pittore è impegnato per realizzare per lui un grandioso polittico, in mostra accanto a quel frammento, per eccezionale concessione dei Musei Vaticani. Vicini l’uno all’altro com’erano ab origine nella basilica paleocristiana, poi demolita tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. A quel momento risale la distruzione dell’affresco con le Storie di Cristo – di cui quel frammento è una preziosa testimonianza -, per cui Stefaneschi pagò la cifra importante di 500 fiorini d’oro. Per il polittico, ne sborsò addirittura 800, una cifra che la dice lunga non solo sulla ricchezza del committente, ma anche sulla fama del pittore, che a quella data si era già guadagnato con gli affreschi per i francescani, prima ad Assisi (1288-1292) e poi a Rimini (1300-1310).
Tappa dopo tappa, Firenze, Assisi, Rimini, Padova, Roma, Napoli, Bologna e infine Milano, la mostra ripercorre la peregrinazione artistica di Giotto per la penisola, suggerendo così il titolo “Giotto. L’Italia” per questo appuntamento imperdibile per i conoscitori.
Altro prestito eccezionale è la ricongiunzione della cuspide centrale con Dio Padre e Angeli del polittico Baroncelli proveniente dall’omonima cappella della basilica di Santa Croce a Firenze, unica opera ancora ubicata nel suo sito originario. Mentre la cuspide arriva dal San Diego Museum of Art e consente così di rivedere insieme due parte di una stessa opera. Realizzata intorno al 1330, aveva già subita manomissioni ai tempi del Vasari, e si deve a Federico Zeri la scoperta, nel 1957, del frammento californiano come pertinente a questo straordinario retablo. Non meno impressionanti sono, esposti nelle altre sale della mostra, il Polittico di Badia prestato dagli Uffizi (1295-1300), quelli “bifronte” di Santa Reparata (1310 ?) dal museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze, e lo “Stefaneschi” già ricordato, del 1313 circa che è tra le opere più documentate del pittore; infine, quello successivo dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna, certamente più sofferto nello stato di conservazione, ma molto importante per documentare la maturità del pittore, all’opera qui intorno al 1333, quando decide eccezionalmente di apporre anche la sua firma.
Manca all’appello qualche capolavoro – come le Stigmate di san Francesco del Louvre che come noto fa parte del bottino napoleonico, o una delle sue monumentali Croci – e ovviamente dell’opera di Giotto frescante – si pensi al folgore di Assisi e della Cappella degli Scrovegni a Padova – non sono certo i frammenti in mostra a rendere onore. Ma è notevole l’impegno di chi ha prodotto questa mostra – la casa editrice Electa con Palazzo Reale -, sostenuta dal Mibac e dal Comune di Milano, e posta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, come appuntamento di chiusura del semestre di Expo 2015.
L’allestimento curato da Mario Bellini è sobrio e al tempo stesso efficace: stanze buie lasciano che dal nero totale (pannelli, pareti, pavimenti), emergano nella luce dei faretti la doratura dei fondi e delle cornici, e poi, avvicinandosi, le finezze del pennello impercettibile del Maestro, capace di umanizzare ogni centimetro di tavola popolandola di uomini nuovi, “latini” e non più “greci”, per dirla col Vasari. Il tutto per un emozionante incontro ravvicinato con l’albore della modernità in pittura.
GIOTTO, L’ITALIA dal 2 settembre 2015 al 10 gennaio 2016, Palazzo Reale, Milano