Un Museo pieno di sorprese

Conversazione con Alessandra Di Castro

Un museo sorprendente. Per le opere esposte, di straordinario valore artistico. Per l’allestimento, scenografico ed elegante. E per l’entusiasmo di chi se ne prende cura. Il Museo Ebraico di Roma, ospitato dal 2005 sotto il grande, magniloquente Tempio Maggiore, si distingue da molte, analoghe istituzioni. “Purtroppo gli altri musei ebraici nelle varie città europee presentano esposizioni ricostruite perché i loro patrimoni sono andati perduti e una collezione come la nostra, che è stata salvata e si è stratificata nei secoli, è molto rara” racconta Alessandra Di Castro, Direttore del museo, molto conosciuta per la sua attività nel mercato d’arte antica. Un’esperienza e una rete internazionale di contatti molto utile per chi deve gestire un museo. “In famiglia siamo alla quarta generazione di antiquari. Da pochi anni, in seguito alla scomparsa di mia sorella Daniela Di Castro, che riallestì e diresse questo splendido spazio espositivo, mi occupo del museo insieme alla curatrice Olga Melasecchi e ad altri preziosi collaboratori. Grazie alla mia attività di antiquaria, sono in rapporto diretto con il mondo del collezionismo, con mecenati e privati che intendo coinvolgere sempre più anche per sollecitare donazioni al museo”.Argenti di grande bellezza e valore, marmi policromi, tessuti antichi in grande quantità: velluti del Rinascimento, ricami e merletti barocchi, lampassi francesi del ‘700. “Queste opere sono state eseguite dagli stessi artigiani che lavoravano per le famiglie aristocratiche e per i Papi”. Ed ecco un piano cinquecentesco in commesso di pietre dure, colonne di marmi antichi, materiali donati dai membri della comunità alle loro sinagoghe. 90mila visitatori (e il numero è in crescita) non sono pochi, in una città così infinitamente ricca di attrattive culturali. “Siamo un Museo che parla di vita, di gusto, di committenza”. Senza ovviamente dimenticare, anzi raccontando con efficacia attraverso gli apparati didattici la storia della comunità ebraica romana, i tanti momenti difficili, spesso tragici, fin dalla nascita di quello che fu il Ghetto di Roma. Fa davvero impressione, alla luce dei fatti accaduti secoli dopo, leggere alcuni frammenti della bolla Cum nimis absurdum (“poiché è oltremodo assurdo”) con la quale papa Paolo IV Carafa dava il via nel 1555 a un regime persecutorio di rara crudeltà e istituiva il “serraglio degli ebrei” (il Ghetto). “Poiché è oltremodo assurdo e disdicevole che gli ebrei, che solo la propria colpa sottomise alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di esser protetti dall'amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo ai cristiani, mostrare tale ingratitudine verso di questi, da rendere loro offesa in cambio della misericordia ricevuta, e da pretendere di dominarli invece di servirli come debbano; Noi, avendo appreso che nella nostra alma Urbe e in altre città e paesi e terre sottoposte alla Sacra Romana Chiesa, l'insolenza di questi ebrei è giunta a tal punto che si arrogano non solo di vivere in mezzo ai cristiani e in prossimità delle chiese senza alcun distinzione nel vestire, ma che anzi prendono in affitto case nelle vie e piazze più nobili, acquistano e posseggono immobili, assumono balie e donne di casa e altra servitù cristiana, e commettono altri misfatti a vergogna e disprezzo del nome cristiano […]” Oggi del quartiere sovraffollato e malsano nel quale a inizio ‘800 vivevano quasi 10mila persone non rimane più nulla. Alcuni decenni dopo la Breccia di Porta Pia la costruzione dei muraglioni del Tevere e il nuovo Piano Regolatore ne decretarono l’abbattimento e la sostituzione con gli attuali palazzi; la Sinagoga eretta tra 1897 e 1904 divenne il nuovo riferimento per la comunità. “Grazie alla generosità della Rothschild Foundation potremo prossimamente presentare una efficace ricostruzione in 3D del Ghetto, sviluppatosi sul sito dell’antico Circo Flaminio, tra il Tevere e il Portico d’Ottavia”. LEONARDO PICCININI