L’inutilità

Dei convegni, delle tavole rotonde e dei seminari

Non a caso abbiamo scelto questo articolo pubblicato sulla Gazzetta Antiquaria nel 1963 che reclamava la libera circolazione dei beni artistici. Autorevoli esponenti della cultura italiana chiedevano una maggiore libertà di circolazione; a tutt'oggi i problemi sono rimasti pressoché inalterati e di fatto questo articolo è di grande attualità e denuncia l'immobilità del nostro apparato legislativo. Gli antiquari italiani costretti in una sorta di enclave culturale subiscono i contraccolpi di questa emarginazione e il mercato dell'arte del nostro paese sta attraversando momenti di grandissima difficoltà. E le leggi di tutela ne sono fortemente responsabili.

Il convegno internazionale sul mercato d'arte si è concluso, come è specificato dalla mozione finale indicando al Governo e al Parlamento che gli antiquari si battono per raggiungere due obiettivi: la stipula finale, indicando al governo sotto gli auspici dell'UNESCO e lar iforma della legge 1089 del 1939.
A queste conclusioni gli antiquari italiani e stranieri, riuniti per tre giorni nella sala della Biblioteca Vieusseux sono giunti al termine di tre giorni di appassionato ed ampio dibattito su uno dei problemi più scottanti per la categoria.
Il tema in discussione: « Liberalizzazione degli scambi internazionali degli oggetti d'arte » – è stato analizzato, con spregiudicatezza, nei suoi vari aspetti: economici, giuridici e sociali.
Le premesse economiche ai problemi del mercato internazionale degli oggetti d'arte ed antichi sono state affrontate nella prolusione al convegno tenuta dal Prof. Alberto Bertolino, Vicepresidente della società « La colombaria » e Preside della Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Firenze. L'illustre studioso, dopo avere affrontato il problema sul piano puramente teorico ed aver enumerate le caratteristiche peculiari dell'oggetto d'arte, che è un bene durevole teso al soddisfacimento dei bisogni finali dell'uomo, ha concluso rilevando che le limitazioni delle esportazioni degli oggetti d'arte devono esser graduate alla diversa importanza artistica dei beni, non confondendo le finalità della salvaguardia dell'efficienza del patrimonio artistico nazionale con quelle puramente fiscali.
Gli aspetti e i riflessi internazionali sono stati illustrati, nella sua relazione, dal Consigliere di Stato, prof avv. Mario Matteucci, Direttore dell'Istituto Internazionale per l'unificazione del Diritto Privato.
«Attualmente – ha detto il relatore – si fronteggiano fra vari paesi due opposti sistemi: da un lato la più ampia libertà di circolazione e di scambi e dall'altro la più rigida disciplina degli scambi con ampia facoltà dello Stato di interdire l'esportazione. Il regime protezionistico, di cui abbiamo un tipico esempio nella legislazione italiana, nuoce al commercio degli oggetti d'arte in quanto ne limita la circolazione internazionale ed è perciò indispensabile ridurre, il più possibile, la sfera discrezionale dello Stato nella determinazione del "pubblico interesse" e semplificare il sistema di accertamento di tale interesse.
Partendo da tale premessa, l'illustre giurista ha enunciato la possibilità di addivenire ad un accordo internazionale, che ponga una remora alla potestà di ciascuno Stato al fine di assicurare una maggiore liberalizzazione degli scambi. Gli Stati dovrebbero obbligarsi a limitare la propria facoltà di interdire le esportazioni a quei soli oggetti d'arte che presentino un fondamentale interesse per il patrimonio artistico nazionale di ogni singolo Paese. Egli ha concluso indicando i modi ed i tempi per stipulare tale accordo che dovrebbe attenersi ai principi contenuti nella mozione finale del convegno.
Interessantissimo, soprattutto perché basato su una esperienza di oltre cento anni, è stato l'intervento nel dibattito di Henry Rubin in rappresentanza degli antiquari inglesi e della CINOA (l'organismo internazionale degli antiquari). Egli ha fatto la storia del commercio antiquariale in Inghilterra rilevando che, nonostante in quel paese non esistano né tasse di importazione né di esportazione sulle opere d'arte, il patrimonio artistico non solo è stato salvaguardato, ma anzi incrementato. Gli antiquari inglesi, con tutta consapevolezza, sono a fianco dei loro colleghi italiani nella richiesta di una sostanziale modifica alla legge 1089.
Incostituzionale e ormai illegittima è la legge italiana sul mercato d'arte: questo il succo della documentatissima relazione svolta dal prof Alberto Predieri Docente nella Facoltà di Scienze Sociali e Politiche della Università di Firenze. Tre fatti si sono verificati oggi: l'entrata in vigore della nuova Costituzione, la forte svalutazione monetaria e il trattato della CEE.
Le finalità per cui fu emanata, nel 1939, la legge sul commercio degli oggetti d'arte sono attualmente, secondo il relatore, completamente capovolte per cui il sistema stabilito è diventato contraddittorio e per questo illegittimo: mentre, infatti, da un lato si pone un convegno di licenze e cioè della scelta del caso per caso, dall'altro si applica un'imposta protettiva che colpisce senza discriminazione tutte le opere d'arte. Il prof. Predieri ha concluso indicando le modifiche da apportare alla legge in atto, quelle modifiche che sono state accolte dai convenuti e riportate nella mozione finale.
Una indagine storica della legislazione sulle opere d'arte, partendo dall'ormai famoso editto del cardinale Pacca, è stata svolta, nella sua relazione, dal prof. Ettore Sestieri di Roma, che ha sottolineato la esiguità degli stanziamenti di fondi per la conservazione delle opere d'arte nazionali che vanno in rovina.
Il destino delle opere d'arte nei vari tempi è stato al centro della relazione dell'antiquario Jean Cailleux, che ha affermato che il « nazionalismo appare ridicolo e odioso quando si parli della cultura e in particolare della cultura artistica ».
I benefici effetti di una legislazione non protezionistica sono stati dimostrati dall'antiquario olandese S. Nystad, che si è richiamato all'esperienza fatta nell'ultimo dopoguerra in Olanda. Quando il governo di questo Paese – dove non è mai esistita alcuna tassa di esportazione – ha lasciato la più ampia libertà di commercio – naturalmente escluse le opere riconosciute fondamentali – la minuscola Olanda si è riportata in prima fila tra i Paesi che – comprano e vendono oggetti d'arte e, con ciò, ha visto accrescersi notevolmente il suo i patrimonio artistico nazionale.
L'Italia, almeno per quanto riguarda l'antiquariato, non ha mantenuto l'impegno assunto sottoscrivendo il trattato di Roma della CEE perché, come ha dimostrato l'avv. Piercarlo Bruna di Roma nella sua relazione, non ha abolito entro il termine stabilito, la tassa sulla esportazione degli oggetti d'arte, almeno per quanto riguarda i Paesi del MEC. E questa una constatazione che pone l'esigenza di una sollecita riforma della legge 1089.
Su questo sono stati concordi sia il sen. Maier – che fra l'altro ha reso noto che la tassa di esportazione ha dato, durante il 1962, un introito di soli 57 milioni, una cifra che non ripaga neppure le spese degli organi burocratici addetti ad applicarla – e soprattutto l'on. Vedovato.
Quest'ultimo, anzi, ha indicato i tempi e i modi per la stipulazione di un accordo internazionale fra i Paesi dell'UNESCO. Il Consiglio d'Europa, il Consiglio per la cooperazione culturale e quindi l'assemblea dell'UNESCO sono gli organi, attraverso i quali la convenzione internazionale può essere, in tempi non troppo lunghi, stipulata.
Nel dibattito sono intervenuti il dott. Manusardi di Milano, gli antiquari Giuseppe e Mario Bellini, Leonardo Lapiccirella, Francesco Romano, Ildebrando Bossi Bruschi, il prof. Piva, il prof. Bearzi.
Il prof. Salmi presidente del consiglio superiore delle belle arti ha riconosciuto l'opera insostituibile degli antiquari e ha auspicato una maggiore collaborazione tra questa categoria e i funzionari delle belle arti
Non possiamo chiudere queste brevi note senza sottolineare un fatto assai significativo: che uomini di studio (economisti e giuristi) hanno concluso le loro relazioni riconoscendo la necessità di una profonda e radicale riforma della legge sulle opere d'arte: l'obiettivo per cui da anni si battono gli antiquari.