La vendita all’estero di opere di origine straniera: il primo ostacolo è burocratico

La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale riflette le tensioni tra i Paesi caratterizzati da una forte domanda di tali beni, molto spesso frustrata dalle scarse risorse culturali interne, e quei paesi in cui, invece, le opere d’arte sono sovrabbondanti, che si dimostrano tuttavia restii a permetterne l’esportazione, pur presentando difficoltà nella conservazione e […]

La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale riflette le tensioni tra i Paesi caratterizzati da una forte domanda di tali beni, molto spesso frustrata dalle scarse risorse culturali interne, e quei paesi in cui, invece, le opere d’arte sono sovrabbondanti, che si dimostrano tuttavia restii a permetterne l’esportazione, pur presentando difficoltà nella conservazione e gestione delle proprie ricchezze culturali (come l’Italia).
Tale tensione ha influenzato il nostro legislatore, il quale ha posto in essere una normativa che, sebbene si prefigga di evitare l’impoverimento del patrimonio culturale nazionale, è vissuta, dalla maggior parte dei mercanti d’arte, come penalizzante, in quanto impedisce molto spesso l’esportazione (e quindi l’ipotetica vendita) anche di opere d’arte che non presentano un particolare interesse per il Belpaese, in quanto di origine straniera.
Anche per tali beni, infatti, vale l’art. 68 del D. lgs 22 gennaio 2004, n. 42 (il c.d. “Codice Urbani”), il quale impone a chi intenda esportare in via definitiva un’opera d’arte di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni di farne denuncia al competente Ufficio Esportazione, al fine di ottenere l’attestato di libera circolazione. Il provvedimento deve essere rilasciato o negato con motivato giudizio e l’interessato ne deve avere comunicazione entro quaranta giorni dalla presentazione dell’opera (il termine non è considerato perentorio dalla giurisprudenza amministrativa e, pertanto, gli Uffici Esportazione ben possono comunicare il provvedimento anche dopo il decorso del termine).
Nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell’attestato di libera circolazione gli Uffici Esportazione devono accertare se il bene presenti, inter alia, un interesse artistico ovvero storico e, nel compiere tale valutazione, devono attenersi ai principi previsti dalla Circolare del Ministero della Pubblica Istruzione – Direzione Generale Antichità e Belle Arti del 13 maggio 1974 (Div. VI, prot. n. 2718), volti a verificare se l’esportazione dell’opera costituisca o meno “un inammissibile depauperamento dal patrimonio culturale nazionale” (T.A.R. Lazio 24 marzo 2011, n. 2659).
Nel caso di opere di origine straniera, la Circolare prevede che la decisione circa il rilascio o meno dell’attestato di libera circolazione debba tener conto della “particolare difficoltà di ulteriore acquisizione per restrizioni legali o simili … e di particolare interesse archeologico, storico, artistico, etnografico” (principio sub 1.f) ovvero, per quanto riguarda l’interesse della cosa in relazione al contesto storico culturale in cui essa fa parte, della sua “appartenenza ad un’area di civiltà (archeologica, artistica, etnografica) diversa da quella di provenienza dell’oggetto e significativa di rapporti fra varie civiltà, scuole o zone” (principio sub 2.b).
In base ai citati Principi, risulta pertanto evidente che l’origine straniera di un’opera imponga agli Uffici Esportazione un particolare rigore nella motivazione del diniego di attestato di libera circolazione; in difetto, il provvedimento si espone al rischio di essere annullato in sede gerarchica ovvero amministrativa. 
Non solo. In occasione della richiesta di esportazione di un bene che assuma valore identitario per un altro Paese, gli Uffici Esportazione devono svolgere una valutazione comparativa degli interessi in gioco, in cui l’Autorità competente può anche ritenere prevalente, rispetto all’interesse al trattenimento forzoso di un “bell’oggetto” che sia per caso presente all’interno dello Stato, l’esigenza di una sua rilocalizzazione nel Paese di “appartenenza culturale” per il quale abbia forte valore identitario (T.A.R. Lazio cit., la quale ha precisato che “anche l’interesse all’identità culturale nazionale dello Stato richiedente va comunque considerato, trattandosi di valori fondanti riconosciuti di natura costituzionale anche a livello comunitario)”.
In pratica, gli Uffici Esportazione non fanno quasi mai riferimento ai Principi sub 1.f) e 2.b) (ad esempio non valutano se vi siano politiche di esportazione restrittive nello Stato di origine che comportino “difficoltà di ulteriori acquisizioni”), né verificano l’eventuale esigenza di ricollocare una data opera nel Paese d’origine; al contrario, applicano spesso criteri alternativi rispetto ai citati Principi quali: la “rarità sul mercato italiano” ovvero la “qualità” o “eccezionalità” della cosa, ovvero la sua appartenenza ad una “nota collezione italiana” (in merito a quest’ultimo punto, la sentenza del T.A.R. Lazio 30 luglio 2008, n. 7757 ha statuito che il Codice Urbani non tutela la “storia del collezionismo” e l’appartenenza di un’opera ad una collezione è del tutto irrilevante ai fini del suo acquisto coattivo o della sua sottoposizione alla normativa vincolistica di tutela). 
Il risultato ottenuto dalla prassi degli Uffici Esportazione comporta che molto spesso vengono trattenuti forzosamente sul suolo italiano opere d’arte di origine straniera che non hanno un particolare interesse per l’ambito culturale nazionale, a cui viene negato l’attestato di libera circolazione solo perché ritenute, ad esempio, semplicemente “un bell’oggetto”. Nell’ambito dell’incarico ricevuto nel corso dell’autunno 2012 da importanti operatori del mercato dell’arte, volto a rivisitare il contenuto della Circolare (Progetto Apollo), abbiamo presentato al MiBACT una proposta di modifica dei Principi, anche con riguardo alle esportazioni di opere di origine straniera.
In particolare, si è proposto una lettura congiunta di entrambi i Principi sub 1.f) e 2.b), che tenga conto sia della “difficoltà di acquisizione” di ulteriori cose analoghe, sia dell’appartenenza della cosa “straniera” ad un’area di civiltà diversa da quella di provenienza (rectius: di ubicazione territoriale, ossia italiana) e significativa di rapporti tra le due aree di civiltà. Inoltre, si è chiesto che entrambi i Principi si pongano in via integrativa (e non sostitutiva) rispetto agli altri indicati nella Circolare; ad esempio, non dovrebbe essere sufficiente che, con riferimento ad un bene straniero di particolare interesse, sia difficile prevedere ulteriori acquisizioni di beni analoghi: se tale bene non è “raro”, non potrà essere bloccato alla frontiera, per il solo motivo che oggetti analoghi siano difficilmente importabili in Italia.
Nel mese di settembre 2013 il MiBACT ha presentato agli operatori del mercato una proposta di modifica dei Principi della Circolare che, anche con riguardo alle opere di origine straniera, si risolve in un documento più restrittivo e generico rispetto alla normativa vigente. Ad esempio, il MiBACT intenderebbe attribuire rilevanza ad un bene qualora costituisca, inter alia, testimonianza di relazioni significative tra diverse aree culturali (genericamente intese) oppure assuma un particolare significato per la storia del collezionismo. Si confida tuttavia che il MiBACT, nell’ambito dell’auspicata revisione della Circolare, tenga conto delle istanze provenienti dal mercato dell’arte, ponendo fine a questa sorta di “embargo dell’esportazione” che rischia sempre più di soffocare un settore dalle elevate potenzialità.

Avv. Giuseppe Calabi
Avv. Lorenzo Grassano
CBM & Partners Studio Legale