La città antiquaria

Immagini da una ipotesi catastrofica non poi tanto immaginaria.

I brillanti risultati della Biennale di Firenze, con il consenso generale sia della critica sia dei collezionisti, non deve tuttavia far dimenticare i problemi che il Mercato dell'antiquariato attualmente sta attraversando. Nel panorama generale di crisi che investe il nostro paese non è esente l'attività antiquariale che notoriamente risente degli umori economici del paese con tempi assai più lunghi di quanto non accada ad altre attività produttive. Ne consegue che, data la lentezza della ripresa economica, il sistema antiquariale denuncia al momento una sofferenza che ancora non dà segni di superamento: si assiste infatti alla chiusura di alcune botteghe antiquarie che creano vuoti in un tessuto culturale che al contrario necessita anche della loro presenza. Se questo fenomeno dovesse continuare e per assurdo dalle città d'arte del nostro paese sparissero completamente i negozi d'antiquariato, sarebbe un duro colpo all'immagine e al piacere della visita delle strade cittadine. Immaginiamo via del Babuino o piazza di Spagna, via del Gesù o via Bigli, via Maggio e via dei Fossi assieme a via Domenico Morelli prive delle botteghe o delle gallerie degli antiquari oppure tutti i vicoli e le strade minori che sono i punti di riferimento del Mercato antiquario italiano o qualunquealtra strada normalmente ubicata in punti strategicamente rilevanti delle città storiche. Il comune senso di frustrazione che attanaglia gli amanti delle città d'arte e delle altre città italiane di fronte all'abbandono dei monumenti e di quelle attività storiche che creavano uno stimolante e vario insieme, capace di dare tono e qualità ad ogni singola città, identificandola e rendendola originale rispetto alle altre, veniva fino ad oggi compensato dalla presenza delle botteghe antiquarie che, sopravvissute tra le altre, riuscivano a trasmettere lo charme e l'eleganza di una tradizione determinante alla qualificazione di ogni comunità urbana. Se dovessimo infatti immaginare la sparizione dall'attività dell'antiquario e la chiusura di tutte le botteghe non potremmo che pensare alla fine della Civiltà. Se una proposizione del genere può sembrare esagerata lo sdegno che ne consegue dovrebbe fare riflettere e indurre tutti gli amanti della cultura e del bello a battersi perché ciò non avvenga. H complesso dei Beni Culturali che noi definiamo Patrimonio Artistico non comprende, come ripetiamo da tempo, soltanto i Beni in possesso diretto dello Stato o di Istituzioni private praticamente equiparate a quelle pubbliche o i Beni ecclesiastici, ma anche i Beni privati e quelli di proprietà degli antiquari. La sparizione delle botteghe di antiquariato sarebbe da in punto di vista culturale come far sparire le chiese o i piccoli musei, ma da un punto di vista più generale sarebbe come voler cancellare quello che costituisce la caratteristica originale dei centri storici italiani. Lo scenario che abbiamo ipotizzato potrebbe diventare reale quando noi fossimo isolati dal contesto europeo, quando cioè le norme di tutela e quelle di libera circolazione del Mercato non dovessero adeguarsi alla generalità delle norme comunitarie. Il nostro paese sarebbe completamente tagliato fuori dal collezionismo internazionale che, come abbiamo visto in occasione della Biennale di Firenze, è disposto ad accorrere prontamente quando si tratti di manifestazioni di alto livello e con la certezza che le opere esposte sono esportabili. D'altronde in questo meccanismo realmente intemazionale entrano in gioco oltre alle botteghe degli antiquari tutte quelle attività collaterali che creano un indotto di grande rilevanza economica capace di sopperire anche alla possibilità di tutelare ciò che abbiamo. Infatti i concetti di tutela e di libera circolazione, anche se apparentemente possono sembrare in contraddizione, costituiscono in realtà i due aspetti principali di un corretto funzionamento del medesimo sistema: la tutela e la conservazione sono l'asse portante della nostra cultura e perciò necessitano di una continua attenzione ma questa richiede mezzi e strumenti che in quanto prioritari devono essere impiegati senza lesinare economie. Il mercato ha la funzione di rendere noto ciò che è sconosciuto e al tempo stesso di creare mezzi finanziari che concorrono, insieme a quelli dello Stato ad una avveduta valorizzazione del Patrimonio Culturale. Sappiamo benissimo che, come è stato osservato, gli introiti degli ingressi ai Musei non coprono se non in minima parte le ingenti spese necessarie al mantenimento dei nostri Beni Culturali, ma talvolta ci domandiamo perché i Musei italiani debbono nonostante la ricchezza e la consistenza delle opere d'arte da essi posseduti, avere biglietti d'ingresso a prezzi tanto più bassi di quelli dei corrispondenti grandi Musei europei, con lo Stato assolutamente indifferente perché destina ai Beni Culturali cifre irrisorie del proprio bilancio. Alcuni anni fa quando ancora neppure esisteva il Ministero dei Beni Culturali, fu creato a Firenze un Comitato che valutò in termini economici il Patrimonio Artistico fiorentino per far capire alla "politica" l'inconsistenza di quanto lo Stato destinava alla conservazione e alla tutela. Oggi le cose sono cambiate, l'organizzazione ministeriale si sforza in ogni modo di compiere il proprio dovere, ma la "politica" non sembra ancora rendersi conto di quanto le necessità dei Patrimonio Culturale italiano sarebbero al primo posto tra le priorità di un paese come il nostro con la nostra tradizione e la nostra cultura.