L'arte del presente, finisce nello scorrere del tempo, per divenire arte del passato e alla lunga arte antica. Non avremo forse il tempo per veder realizzato tra 50 anni questo passaggio anagrafico. Ma la curiosità di capire se ciò potrà avvenire ci induce a chiedere a Vittorio Sgarbi una riflessione sulla Biennale di Venezia, nel passato massima espressione della vitalità dell'arte contemporanea e del suo riflesso sul gusto e la critica del futuro.
Cosa resterà dell'edizione in corso della Biennale di Venezia? Qualcosa sicuramente: per esempio il Lampadario di miniassorbenti di Joana Vasconcelos, scontatissimo nella provocazione femminista da anni Settanta, che doveva scandalizzare tutti e che invece ha raccolto ovvie e dure critiche. La signora Vasconcelos non si è accorta che non viviamo più nell'epoca di Duchamp, e che certi giochi sono ormai superati. Che idea del mondo hanno la signora Vasconcelos e molti degli artisti presenti nella confusa "carovana" della Biennale 2005, con tante donne, tanti artisti di lingua spagnola, tantissimi beneficiati di troppa grazia? Siamo sicuri che i loro talenti siano capaci di tradurre in modo intellettualmente adeguato la complessità e la singolarità del nostro tempo? Ci rende migliori la visione delle loro opere, più maturi, più consapevoli, anche più ricchi di esperienza, o rischia solo di contaminarci di banalità? Queste sono le domande che ci dovremmo porre, con la giusta onestà e senza ricorrere alla retorica per la quale, come è stato sostenuto anche in questa occasione, l'arte è sempre affare degli operatori del settore, a loro spetta scegliere cosa è il bello e cosa non lo è". E' un discorso retrogrado, "subculturale", direi anche poco democratico e un po' razzista; esprime un'idea dell'arte assolutamente inconciliabile con i tempi moderni, tempi di masse che comunicano e che si muovono in grande quantità per visitare una Biennale in cui c'è qualcuno che sostiene quanto la loro idea del bello non conti nulla. A riprendere la domanda iniziale, sarebbe più giusto chiedersi: crediamo davvero che la Biennale sia ancora una manifestazione che voglia lasciare qualcosa? Sappiamo benissimo che in passato la Biennale ha preteso di svolgere un ruolo ben preciso, quello di essere la vetrina per eccellenza dello stato dell'arte moderna nel mondo, e che veniva riconosciuto come tale. Oggi non si è affatto sicuri che sia ancora così, e sono i fatti a dichiararlo, non le impressioni personali. Si veniva da un'edizione precedente, quella curata da Francesco Bonami, che era stata ritenuta a larghissima maggioranza un punto di non ritorno. Era chiaro a tutti che ci volesse una svolta decisa, un'edizione che indicasse una strada nuova rispetto a due anni fa, un senso finalmente recuperato per la Biennale. E' cambiato il presidente-manager, liquidato il curatore italiano, al suo posto due donne spagnole; liquidato perfino il Padiglione Italia per i soli italiani, troppo "protezionistico". Il risultato? Presunzione, velleitarismo e inconsistenza, forse non come nell'edizione di Bonami, ma ancora troppo per ritenere che la Biennale abbia recuperato una propria strada. Basterebbe poi ascoltare le due curatrici, una più senosa e "museale" (Maria de Corral), l'altra più festaiola (Rosa Martinez), per rendersi conto di come sia stato interpretato il compito a loro assegnato: "L'arte contemporanea è molto relativa, può essere tutto e il contrario di tutto. Ognuno di noi diventa ancora più relativo di quanto non sia l'arte e allestisce mostre in cui mette solo quello che gli interessa, non dovendo rispondere a nessuno se non a se stesso". Giusto, se si fanno mostre fra quattro amici che hanno la pazienza di sopportarti; inconcepibile se il ragionamento viene implicato a una manifestazione che vorrebbe essere la vetrina del mondo. O hanno ragione loro, e la Biennale non ha più la possibilità di rispondere al suo senso originario. Possibile che chi va a vedere la Biennale di quest'anno finisca per essere informato solo delle personali visioni dell'arte di Maria de Corral e Rosa Martinez, cosa di cui tutti, ieri come oggi, pensano di poter fare benissimo a meno? Possibile che una manifestazione con certe ambizioni debba servire solo a questo? Queste due signore avrebbero qualche attenuante a loro discolpa: hanno avuto poco tempo a disposizione, non hanno chiesto loro niente di preciso, di più non potevano e non sapevano. Il che equivale a dire che la Biennale, malgrado i recenti cambiamenti, continua a navigare in un mare di improvvisazione programmatica e organizzativa da cui sarebbe difficile aspettarsi qualcosa di meglio di quello che produce.
Il vero evento della Biennale 2005, davvero degno di essere ricordato a lungo, è qualcosa al di fuori di essa, che non ha voluto confondersi con la sua precarietà di pensiero e di organizzazione. E'Ia retrospettiva su Lucian Freud, visitata da masse oceaniche. Chi vuole vedere un'arte capace di tradurre la profondità e la contraddizione esistenziale del nostro tempo, segua le masse al Museo Correr. Chi invece vuole vedere qualcosa di superficiale vada a trovarlo alla Biennale 2005.