La ricchezza e la qualità del patrimonio culturale del mondo è inevitabilmente legato, anzi "direttamente proporzionale" alla qualità del Mercato. Questo è un dato di fatto ormai recepito universalmente, talché nei Paesi stranieri più progrediti il rapporto che si è creato tra conservatori di Musei, critici e mercanti d'arte produce risultati straordinari significando al massimo la bontà di quella affermazione, da noi pienamente condivisa, della necessità di instaurare anche in Italia quel circolo virtuoso che trasferisce all'ideale patrimonio del pubblico godimento i Beni che dal Mercato attraverso il collezionismo, oppure direttamente, giungono nei Musei e nelle Fondazioni.
E' vero che talvolta oggetti di collezioni ormai acclarate, per qualità o per vetustà di formazione, sono veicolati nei Musei senza passare dal Mercato, ma sappiamo come la notifica delle intere collezioni, specialmente quelle di straordinaria specializzazione o di famiglie storiche, renda più difficile l'acquisto di singole opere e allora è dal Mercato e attraverso il Mercato che l'acquisizione si fa possibile. Anche quelle che vengono mostrate nelle aste sono per lo più note ai mercanti, così che è il Mercato che seleziona ed accredita il movimento dei beni artistici nel mondo.
S'è detto più volte che il mercante è lo scopritore instancabile, il promotore diretto o indiretto, comunque sempre il responsabile primo, della valorizzazione di un'opera d'arte. Diretto o indiretto, perché non sempre è possibile da parte di un medesimo antiquario la comprensione di tutte gli oggetti in cui è portato ad imbattersi, tanto ampia è la gamma di beni che il fervore creativo dell'uomo ha prodotto e produce; donde la necessità di consultazione con una figura molto importante nel meccanismo di conoscenza e quindi di cultura: lo studioso, lo specialista che proprio del suo mestiere fa il puntualizzare, il focalizzare, l'inquadrare storicamente il bene che viene proposto al suo studio, alla sua osservazione. Al suo studio, ma non al suo gusto, perché il giudizio sul gusto solo in via amichevole viene richiesto al critico da parte dell'antiquario e del mercante che se ne arrogano giustamente la esclusività, eventualmente accettando le osservazioni solo dal futuro cliente, ma difficilmente con la disponibilità a cambiate giudizio nel proprio intimo.
Tuttavia accade talora che il mercante se improvvisato e proveniente da esperienze commerciali diverse o comunque imprenditoriali d'altro tipo, privo cioè di quella gavetta di preparazione accademica o meglio ancora di diretta sofferenza sul campo dell'antiquariato, sia portato a demandare la privativa del gusto dei propri acquisti ad un critico o a più critici rinunciando alla vera natura dell'antiquario o del mercante, quella cioè di indirizzare la propria clientela, non importa quale, sul proprio gusto proponendo cioè oggetti che al di la della importanza economica e del valore venale, rispondono sempre a caratteristiche che identificano in quello, e non in altri, lo scopritore e l'amatore di un determinato Bene. La soggezione del mercante al critico crea una dipendenza che alla lunga ha risvolti negativi sul Mercato perché la clientela meno avveduta esigerà di comprare soltanto con l'avvallo del critico, che da una parte e dall'altra si varrà giudice indiscutibile con l'eventualità di lasciare al mercante gli affanni della operazione economica e la responsabilità civile e penale di errori che talvolta competono, senza che ne venga a risultare la responsabilità al critico. Ma l'aspetto più sconcertante è che in definitiva, almeno in Italia molto spesso gli studiosi quando nelle monografia su artisti o comunque nei loro studi sembrano voler evitare una sorta di contaminazione col Mercato. Perché nella provenienza delle opere citate evitano di nominare gli antiquari che ne sono stati possessori, bypassandoli direttamente o cominciando la storia della proprietà degli oggetti a valle della provenienza dell'antiquario.
Ci sembra che questo atteggiamento del tutto criticabile sia ancora un residuo ideologico della contrapposizione tra Mercato buono (perché pur sempre di Mercato si tratta), degli studiosi dei Musei e degli Enti o Fondazioni e quello cattivo dei mercanti i quali rischiano del proprio e che investono nella compravendita di Beni culturali la intelligenza, la professionalità e la passionalità di cui sono capaci. Ma questa cesura di conoscenza oltre a costituire una evidente ingiustizia è foriera di danni culturali gravissimi, perché interrompe volontariamente ciò che storicamente è più importante per la comprensione della evoluzione del gusto, togliendo di fatto una tappa importante nella vita dell'opera d'arte. Ma il bello è che, al contrario, gli stessi studiosi sono invece in prima linea nel citare con enfasi le appartenenze di oggetti a mercanti stranieri, sia pure di fama e di reputazione, come se gli antiquari italiani non fossero all'altezza di quelli, non accorgendosi, per inciso, che semmai sono le norme e le leggi italiane ad ingessare in modo drammatico il Mercato italiano rendendolo di categoria inferiore come potenzialità commerciale ma soprattutto limitando nel mondo la ulteriore diffusione di capolavori di arte italiana che per questo motivo si vede anteporre nell'interesse del collezionismo internazionale altre scuole ed altri movimenti artistici.
E' la provincialità del mondo culturale italiano a provocare lo sconcerto: ma tant'è, questa masochistica dipendenza esterofila della intellettualità, ben diversa dalla indispensabile e proficua conoscenza della cultura e della economia internazionale, è nella storia italiana una colpa ricorrente che magari prima trovava anche tra mercanti d'arte condivisione per paura, nello specifico del nostro argomento, della notifica dei beni posseduti. Però oggi trova, ma forse sempre, gli antiquari con un atteggiamento ben diverso e comunque in prospettiva proiettato verso un superamento concreto delle barriere culturali e di questa stupefacente incoerenza, generata dall'ignoranza, che crea soggezione, e dalla insicurezza, che originale ostinate chiusure di cui stiamo soffrendo così gravi conseguenze. Forse è davvero l'ora che agli Antiquari sia restituita la completa dignità che essi si sono meritati con la loro costante e capace professionalità.
Gli innominabili
Le omissioni degli studiosi nei passaggi di proprietà delle opere d'arte