Nel mondo globalizzato è inevitabile che le aziende manifatturiere o le piccole industrie di settori non specifici, tendano a scomparire nella loro individualità e a divenire preda di entità sempre più grandi per ragioni fatalmente inelusibili di costi e di ricavi che si debbano bilanciare per mantenere un alto valore al mercato di tali prodotti. E' una tendenza che nel mondo civilizzato, o per meglio dire, industrialmente avanzato, si sta rivelando una mannaia per aziende medie e per operatori di beni di piccola distribuzione. Abbiamo sempre pensato tuttavia che il mondo dell'arte sfuggisse a questa logica, sopratutto in ragione della unicità del prodotto artistico e del fatto che comunque ogni opera dell'intelletto umano riconducibile al mondo artistico, può trovare un proprio mercato oltre le esigenze della globalizzazione. Ma ci rendiamo altrettanto conto che le case d'asta, stanno compiendo un'opera francamente poco corretta nei confronti degli altri elementi che costituiscono il mercato dell'arte. Fino a pochi anni fa le competenze delle case d'asta che talvolta tendevano a strabordare con iniziative non propriamente a loro pertinenti (vedi il finanziamento agli acquirenti e spesso come nel caso dei famosi “Ireos” di Van Gogh in maniera spericolata e disastrosa), venivano tuttavia contenute o da incidenti come quello che abbiamo citato o dalla corretta applicazione delle norme che le riguardavano. Infatti le case d'asta dovrebbero essere semplici intermediari delle vendite all'incanto, ma oggi sappiamo che esse tendono a comportarsi da attori del mercato dell'arte come i venditori e i compratori, cioè come commercianti invadendo un campo di pertinenza degli antiquari e esercitando così una concorrenza che riteniamo assolutamente sleale. Sembra un assurdo totale che oggetti del mercato dell'antiquariato passino dal venditore al compratore attraverso gli uffici privati delle case d'asta senza essere posti all'incanto. Delle due l'una: o questa attività viene sospesa o vengono ritirate le licenze delle vendite all'incanto. Terzium non datur. Sembrava scandaloso, molti anni fa, il comportamento di talune case d'asta che pur di accaparrarsi l'affidamento delle opere fornivano un congruo anticipo alterando così storici rapporti fra committenti e case d'asta con evidente danno per la linearità del mercato. Ma ormai questa sembra preistoria perchè l'aggressività delle case d'asta sta invadendo un campo che non dovrebbe essere assolutamente di loro pertinenza. Addirittura pare che le case d'asta concordino con il venditore un prezzo che non è un minimo di riserva per l'oggetto posto all'incanto, né tanto meno un'indicazione di valore ma è un vero e proprio atto di vendita in conseguenza del quale l'eccedenza di valore ricavato dalla vendita sul prezzo realizzato entra totalmente nelle casse della casa d'asta. Ci si domanda maliziosamente quali siano i rapporti amministrativi e fiscali di simili comportamenti se cioè la casa d'aste si comporterà come un qualsivoglia mercante con il conseguente carico fiscale. Non sappiamo se questo modus operandi vige anche tra le case d'aste italiane, il timore è che se ancora le cose non stanno così presto lo saranno. Certamente è un ribaltamento del mercato dell'arte ma forse non interessa troppo la sorte dei mercanti d'arte italiani e anche stranieri. Ormai il livello di invadenza delle case d'asta ha raggiunto limiti inaccettabili, si è scatenato un rullo compressore che travolgerà anche il più attrezzato mercante: per accaparrarsi la clientela migliore le case d'asta mettono in campo lusinghe insuperabili. Le conseguenze di tutto questo comportamento sono gravissime per il circuito del commercio delle opere d'arte perchè inevitabilmente danneggiano l'intera categoria degli antiquari al punto di impedirne ulteriore prosieguo di attività con conseguenza di chiusure di ditte spesso storiche. E non si dica che la colpa è degli antiquari che non sono in grado adeguarsi: ricordiamo che gli antiquari hanno rappresentato e rappresentano nella stragrande maggioranza dei casi per le case d'asta, l'insieme di clienti più redditizio e cospicuo, ma di fronte a questo fenomeno palese questa clientela così determinante per le case d'asta, riceve solo scortesie, non ultime per esempio l'esigere dai mercanti il pagamento dei cataloghi d'asta quando questi sono inviati gratuitamente in grandissima copia in tutte le parti del mondo ai collezionisti privati. E' vero che questi sono fenomeni non oppugnabili di merchasing ma questo è un altro indice di come questi colossi appartengano a mondi finanziari piuttosto che a un mondo culturale in cui il concetto di bellezza, di valore estetico e di correttezza reciproca, possano avere ancora un'etica. Per concludere dobbiamo registrare un serpeggiante malumore perchè ci chiediamo se esistano organi di tutela internazionale per disciplinare questa invadenza e per porre un rimedio efficacie a questi comportamenti: ne dubitiamo, né pensiamo di poterci affidare alla sensibilità dei gestori di questo modificato e incontrollato sistema di vendita, che a questo punto assomiglia più ad un caotico arrembaggio, dove più che le regole vige la legge del più prevaricante.
Conflitto d’interesse
Le case d'asta e la loro invadenza sul mercato dell'arte