Il binomio arte-investimento ha caratterizzato il mercato di questi ultimi venti anni. L’arte contemporanea con il suo carattere transitorio in divenire ha perfettamente incarnato una stagione, quella degli anni Novanta, dove l’oggetto oltre al valore in sé, rappresentava soprattutto uno strumento di speculazione a breve e medio termine, con margini di rendimento quasi illimitati. Un sistema dove direttori di musei, galleristi e critici alimentavano aspettative sempre più incalzanti su artisti e movimenti che, al filtro della storia, non hanno poi rispettato quel credito che in quegli anni ruggenti gli era stato attribuito con incauta leggerezza.
Nella percezione del collezionista di arte contemporanea vi era, e sussiste tutt’oggi, l’idea che non sia necessaria una conoscenza specifica sperimentata attraverso l’esperienza personale. Secondo questo tipo particolare di raccoglitore fortuito, è sufficiente l’intuito e il valore iconico, inteso come riconoscibilità economica e sociale, per determinare l’acquisizione di un’opera rispetto ad un’altra. Un atteggiamento che prescinde dal gusto e da una reale stratificazione estetica, ma assai simile a uno spericolato gioco finanziario fine a se stesso, capace di orientare i trend, i flussi di investimento e di condizionare le strategie delle grandi case d’asta.
L’arte antica è invece per il connaisseur, l’antiquario e il semplice appassionato sinonimo di sicurezza acquisita nella qualità, nella storia delle provenienze e nello stato di conservazione; regole auree tramandate da padre in figlio, che ora più di prima risultano valide in un mercato sempre più selettivo nell’offerta, che escludendo l’oggetto medio meramente decorativo premia l’eccellenza assoluta, meglio se inedita o lontana dal mercato da una o più generazioni.
A questo riguardo è paradigmatica la vicenda collezionistica che ha accompagnato il Badminton Cabinet, capolavoro assoluto dell’arte ebanistica fiorentina del Settecento. Quando comparve nel 1990, Barbara Piasecka Johnson – erede della multinazionale cosmetica – lo fece suo per ben otto milioni e mezzo di sterline. Nel 2004, il nostro travolgente manufatto, è stato di nuovo protagonista assoluto dell’asta tenuta da Sotheby’s in dicembre a Londra, dove il principe Hans Adam II di Liechtenstein lo ha acquistato per la sua leggendaria collezione per quattordici milioni di sterline: un oggetto unico con un rendimento costante e sicuro, visto che nei quattordici anni trascorsi tra la prima e la seconda apparizione ha avuto un incremento del 121%, pari all’8,7% annuo. Un dato assai significativo che spiega senza equivoci la tenuta del comparto antico rispetto alla volatilità del contemporaneo, spesso strumento di bolle speculative dagli esiti a volte paradossali, come il più volte citato e abusato Damien Hirst, monarca assoluto delle British Young Art e guru mediatico dell’attualità, che ha visto ridursi drasticamente le proprie quotazioni dalla crisi dei titoli immobiliari subprime americani dell’autunno 2008.
Oggi le case d’asta a fronte di un periodo di prolungata crisi e di sostanziale contrazione dell’offerta, privilegiano soprattutto incanti di pochi oggetti e di qualità assoluta, come il caso della vendita Treasures, che Sotheby’s ha esitato a Londra nel luglio 2010, con un catalogo di soli ventuno opere di provenienza aristocratica. Autentico mattatore della sessione è stato un tavolo cinquecentesco in ebano e avorio appartenuto al Duca di Urbino Francesco Maria Della Rovere. Apparso da Christie’s a Londra nel 1989 come parte della collezione di Charles Butler, e venduto per l’irrisoria cifra di seimila sterline, è stato esitato poco meno di un anno fa a £937.250, con una rivalutazione che nella sua enormità ha dell’incredibile e dell’irragionevole, ma che ben racconta come la conoscenza in dettaglio di un oggetto e la scansione delle sue provenienze siano fondamentali per determinare il suo reale valore di mercato. Nei ventuno anni intercorsi tra il primo ed il secondo passaggio, questa autentica meraviglia dell’ingegno artistico si è rivalutata del 28.575% ovvero, del 1360% annuo, del 113% mensile, del 28,2% settimanale ed infine del 4% giornaliero.
Questa strategia estremamente selettiva è ulteriormente confermata dal grande successo delle aste newyorkesi di Old Masters del gennaio scorso, dove Sotheby’s con 159 lotti in catalogo, ha totalizzato 90 milioni di dollari, tra i quali svetta l’incantevole Sacra Conversazione di Tiziano, che rispettando la stima ha quasi raggiunto 17 milioni di dollari. Nella stessa asta abbiamo assistito altresì a delle sorprese di esito che attestano di un pubblico estremamente attento a cogliere la qualità anche verso nomi meno eclatanti, ma ugualmente di spessore storico-artistico, come il Maestro di Pratovecchio, contemporaneo di Beato Angelico e Filippo Lippi. Una sua Madonna con Bambino e Santi proveniente dal Paul Getty Museum di Malibù, rispetto ad una stima di 200-300.000 dollari è stata premiata con un esito di 902.500 dollari; così come una Sacra Famiglia di Perin del Vaga, estroso allievo di Raffaello e conosciuto come autore superlativo di affreschi, grottesche e incisioni, ma assai raro in opere da cavalletto, ha visto lievitare la sua iniziale quotazione di 300-400.000 mila dollari fino alla ragguardevole cifra di 2.098.000 dollari.
È quindi evidente che il mercato antiquariale italiano e internazionale offre in questo particolare momento di crisi economica e sociale tutte le risposte ad una richiesta di stabilità, tipica di tutti quei periodi di curve espansive e recessive che periodicamente si succedono nelle società economiche evolute.
Indubbiamente l’antico può godere di un grande vantaggio rispetto al contemporaneo: il primo sedimenta in secoli e millenni, il secondo in mesi e forse in decenni.
Collezionismo e investimento nel tempo della crisi
Qualità e conoscenza premiano l’antiquariato