Elginism

Restituirli oggi non sarebbe riportarli a casa, perché la loro casa è quella che li ha accolti, curati, e resi celebri nel mondo, al quale solo appartengono.

di Marco Riccòmini

Quella della ‘razzia sur l’art’ (per citare il titolo del volume di Roland-Pierre Paringaux ed Emmanuel de Roux, Parigi 1999) è questione vecchia come il mondo e, ad ogni rotazione della terra (e di chi la governa), se ne torna a parlare. È di questi giorni la notizia che l’Eliseo sta valutando di restituire le opere depredate durante il periodo coloniale mentre, dall’altra parte della Manica, il British Museum ha deciso di fare la stessa cosa coi ‘The Benin Bronzes’, aprendo così le porte ad un potenziale contenzioso con l’Egitto, che reclama la stele di Rosetta, e la Grecia, che vuole il fregio del Partenone, e la lista è appena cominciata (e noi abbiamo reso ad Axum l’obelisco rimosso dopo la presa di Addìs Abèba). Sento adesso chi grida all’indirizzo del Louvre e chi gli ricorda a fil di voce che la Gioconda stava già nei bagagli di Leonardo (‘se vogliono tutti i nostri Leonardi, allora che ci diano tutti i loro Raffaelli’, è il braccio di ferro di queste ore con la Francia, sulle mostre nel biennio 2019/2020). Restituire, allora, e lasciare che gli ardimentosi si spingano a Cotonou, vocabolarietto di fon-gbe in tasca, per scoprire che i ‘Bronzi del Benin’ sono in realtà di ottone? ‘The Elgin Marbles’ (da cui il termine Elginism, ad indicare la spoliazione di un patrimonio culturale), come il Retour d'Egypte o le sculture africane, hanno forgiato la cultura dell’Europa moderna, perché erano dove potevano essere ammirati da tutti. Restituirli oggi non sarebbe riportarli a casa, perché la loro casa è quella che li ha accolti, curati, e resi celebri nel mondo, al quale solo appartengono.