“Può esistere una storia dell’arte nell’Italia del Seicento senza Caravaggio?” L’incipit del saggio in catalogo di Alessandro Morandotti potrebbe sintetizzare lo spirito della mostra da lui curata, L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri. Napoli, Genova e Milano a confronto (1610-1640), fino all’8 aprile presso le Gallerie d’Italia di Piazza Scala a Milano.
“La mostra è insieme il risultato di un progetto che avevo in testa da anni e di un’occasione, quella della mostra su Caravaggio a Palazzo Reale [terminata il 4 febbraio], per cui le Gallerie d’Italia potessero costruire un percorso espositivo partendo dal “loro” Caravaggio, l’ultima opera dell’artista, il Martirio di Sant’Orsola (1610). Dipinta a Napoli e spedita alla volta di Genova, per la collezione di uno dei fratelli Doria, non suscitò quella reazione che le opere del maestro avevano provocato a Roma e Napoli”.
Artisti come Giulio Cesare Procaccini (“oltre novanta suoi dipinti nelle collezioni di Giovan Carlo Doria!” segnala Morandotti) o Bernardo Strozzi, molto presenti in mostra con autentici capolavori, guardavano piuttosto a un altro esempio, quello di Rubens. In casa Doria si trovava dal 1606 l’indimenticabile Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo, prestito della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola.
“I musei genovesi hanno capito l’importanza del nostro progetto e hanno accolto con generosità le domande di prestito, così come la Gemäldegalerie di Berlino (con la splendida Salomè di Bernardo Strozzi, 1627) e i numerosi collezionisti privati”. Vale da sola il viaggio l’incredibile Ultima Cena di Procaccini , dipinta esattamente quattrocento anni fa, nel 1618: un colosso su tela di 8,5 x 5 metri, realizzata per il refettorio del convento genovese del Vastato, poi trasferita nella controfacciata dell’adiacente basilica della Santissima Annunziata. “Era in restauro a Venaria – conclude Morandotti – e, prima che ritornasse definitivamente nella sua collocazione, ci è sembrato di straordinario interesse poterla avere in mostra”. Nel catalogo, alcuni saggi (come quello di Piero Boccardo) sottolineano l’importanza finanziaria, artistica e culturale della città di Genova e delle grandi famiglie di intraprendenti banchieri (Doria, Grimaldi, Lomellini, Spinola, Balbi, Durazzo, Giustiniani…) Proprio di Giovan Carlo Doria Boccardo ricorda “l’incredibile consistenza – circa settecento opere! – e le caratteristiche di quella quadreria, che per l’epoca e, soprattutto, per essere proprietà di un privato cittadino e non di un sovrano, certo non aveva confronto a livello italiano e tanto meno europeo”