Beni culturali. Riforma e qualità

Se riflettiamo sul fatto che la cultura italiana ha formato per secoli generazioni di giovani alla conoscenza dell’arte, sembra quasi paradossale vedere oggi in quale condizione si trova la tutela e valorizzazione del nostro patrimonio culturale.

di Serena Guardabassi

Se riflettiamo sul fatto che la cultura italiana ha formato per secoli generazioni di giovani alla conoscenza dell’arte, sembra quasi paradossale vedere oggi in quale difficile e immobile condizione si trova la tutela e valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
La questione più urgente e oramai endemica del nostro sistema Paese, sono sempre state le nomine e gli avanzamenti di carriera per “meriti” non già accademici e di ricerca, bensì per anzianità e per compiacente amicizia. Laddove questo non accade, i risultati si toccano con mano.
Sebbene non ci stupiamo più di questa “cultura”, ma ci infuriamo giustamente molto quando ne siamo fatti oggetto, ebbene, esistono ancora persone che nel loro mestiere mettono l’anima e l’orgoglio per  rinverdire e magari accrescere una tradizione che qualche decennio addietro ci ha posti come originale laboratorio nell’avanzamento delle conoscenze del mondo dell’arte.
Prendiamo, ad esempio, un curatore di museo, che ha nelle sue mani la tutela e valorizzazione di opere inestimabili. Ebbene, le sue competenze devono essere di grande merito scientifico, perché conservare ad hoc un museo necessita di una équipe qualificata, che il curatore dovrebbe avere la facoltà di selezionare: storici dell’arte messi in condizione di perfezionare i loro studi e procedere attraverso concorsi non più trentennali.
Sono proprio questi curatori competenti a cui guardano ancora i loro colleghi internazionali, sebbene sorpresi e al tempo stesso ammirati di come in una gestione troppo burocratizzata, immobile e quasi senza fondi, sia ancora possibile mantenere un altissimo profilo curatoriale, e proporre programmi espositivi di eco internazionale (questa questione è in particolar modo interessante, perché uno dei punti cruciali del recente rinnovamento del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo).


"In un tempo oramai lontano, ma di cui vi è ancora memoria, i giovani giungevano nelle nostre facoltà d’arte da ogni parte del mondo per studiare o perfezionarsi in un settore nel quale eravamo assoluti egemoni, e dove illustri e rigorosi professori, appassionati ed entusiasti di erudire giovani allievi, facevano degli atenei il luogo alto della conoscenza."


In un tempo oramai lontano, ma di cui vi è ancora memoria, i giovani giungevano nelle nostre facoltà d’arte da ogni parte del mondo per studiare o perfezionarsi in un settore nel quale eravamo assoluti egemoni, e dove illustri e rigorosi professori, appassionati ed entusiasti di erudire giovani allievi, facevano degli atenei il luogo alto della conoscenza. Se poi ci fermassimo a pensare che alcune di queste persone, che hanno poi occupato ruoli centrali nel mondo della cultura, hanno tutti bevuto dalla fonte del nostro sapere, resta solo da porsi tante, troppe domande che resterebbero senza risposta.
Siamo quasi stupiti di trovare ancora chi si impegna, senza ricevere nulla in cambio, per la salvaguardia del nostro patrimonio dall’incuria di chi dovrebbe comprendere il punto limite prima del disastro pompeiano o l’uso improprio della Reggia di Caserta.
Siamo pertanto arrivati a uno statu quo che lentamente ma inesorabilmente sta smantellando (spesso per incapacità e indifferenza) le fondamenta della cultura.
Sono oramai così tante le esigenze che si sono assommate, che occorrerebbe rovesciare per intero il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo.

Un esempio di partecipazione diretta e condivisa alla tutela del patrimonio la troviamo nel crowdfunding, che consente la raccolta di fondi presso il pubblico generalmente attraverso portali web, ma che le stesse istituzioni culturali possono adottare, come l’Opera di Santa Croce a Firenze che ha lanciato l’iniziativa sul sito Kickstarter (con sottoscrizioni da 10 ai mille euro) per il restauro della Cappella dei Pazzi del Brunelleschi; oppure la società Ginger (ideata da cinque donne manager culturali), che ha raccolto i fondi necessari per la ristrutturazione del portico di San Luca a Bologna, la via coperta più lunga al mondo: un problema è che ancor oggi la legge che lo regolamenta è troppo restrittiva e questo ne limita di molto una partecipazione più ampia di un mecenatismo pubblico e privato che vorrebbe donare denaro e passione senza soffrire.
Prioritario è qualificare il personale e i tempi di lavoro, ma anche e soprattutto destinare denaro agli istituti di restauro che chiudono nonostante le loro provate competenze; riconsiderare un panorama espositivo “pensato”, con fondi pubblici assegnati con criterio e non per mostre di nessun pregio (magari perché curate da storici dell’arte ben introdotti), ossia per quelle mostre rilevanti per gli esperti che si confrontano partendo dalle loro ricerche, per il museo che può aprirsi a un pubblico partecipe, per credibilità e prestigio internazionale: non è un caso che, quando una mostra è scientificamente impeccabile, come quella di Pontormo e Rosso Fiorentino, a Palazzo Strozzi di Firenze, curata da Antonio Natali e Carlo Falciani, questa sia stata decretata la migliore del 2014; riflettere su una legge che mantiene nel limbo il mercato antiquariale, abbassa il suo valore internazionale, non permette una crescita economica che potrebbe portare vantaggio all’Italia, senza inutili frizioni fra antiquari e soprintendenze sull’esportazione di opere d’arte che non hanno una rilevanza artistica nazionale.


"Riflettere su una legge che mantiene nel limbo il mercato antiquariale, abbassa il suo valore internazionale, non permette una crescita economica che potrebbe portare vantaggio all’Italia, senza inutili frizioni fra antiquari e soprintendenze sull’esportazione di opere d’arte che non hanno una rilevanza artistica nazionale."


Detto questo, espressa la solita amarezza con indomita determinazione, in questo caso più attinente all’arte che alle altre forme di cultura, come il teatro, le orchestre lirico-sinfoniche, il turismo, è dal nuovo Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini che arriva la riorganizzazione del MiBACT, che trae origine dall’adeguamento ai numeri della spending review (Dl 66/2014), “ma che crea l’opportunità per intervenire sull’organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che da decenni segnano l’amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia,” e “a quelle disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte da più parti”.
Come questa “rivoluzione dei beni culturali”, scrive il Ministero, “che supera la contraddizione ideologica tra tutela e valorizzazione e permette di investire nel settore della cultura e del turismo come fattore trainante” cambierà il volto delle cose, potrà dircelo solo il tempo.
Per entrare nel dettaglio la riforma è stata costruita per “una piena integrazione tra cultura e turismo; la semplificazione dell’amministrazione periferica; l’ammodernamento della struttura centrale; la valorizzazione dei musei italiani; la valorizzazione delle arti contemporanee; il rilancio delle politiche di innovazione e di formazione e valorizzazione del MiBACT”.
La più chiacchierata delle riforme, resa nota l’8 gennaio 2015, è quella del prossimo concorso internazionale per il conferimento dell’incarico di direttore di 20 istituti a livello dirigenziale generale (7, fra i quali il Museo degli Uffizi di Firenze, il Museo di Capodimonte di Napoli, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Galleria Borghese di Roma, la Pinacoteca di Brera di Milano) e non dirigenziale (13, fra i quali la Galleria dell’Accademia di Firenze, il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, il Palazzo Ducale di Mantova, il Polo Reale di Torino), con una carica quadriennale.
Alla figura del direttore saranno conferite più responsabilità “nella gestione del museo nel suo complesso, nonché dell’attuazione e dello sviluppo culturale e scientifico”, come la programmazione del museo; l’organizzazione di mostre ed esposizioni; la promozione del patrimonio museale e le attività di ricerca; stabilire costi e orari del museo; elevare gli standard qualitativi del personale a tutti i livelli; decidere sui prestiti delle collezioni di propria dipendenza per mostre nazionali e internazionali; assicurare la piena collaborazione con la Direzione generale Musei, il segretario regionale, il direttore del Polo museale regionale e le Soprintendenze; coadiuvare la Direzione generale del Bilancio e quella dei Musei a favore del sostegno della cultura attraverso l’elargizione economica di privati, e molto altro ancora.
La retribuzione sarà per i vincitori del concorso una bellissima sorpresa, perché vedranno passare il loro stipendio da 1800 euro mensili a 145 mila annue per la carica di direttore di livello dirigenziale generale, e di 78 mila euro annue per quella non dirigenziale; a queste saranno aggiunte poi eventuali retribuzioni di risultato.

Ma c’è un lato meno gradito di questo concorso, poiché tra i partecipanti italiani ve ne saranno di livello mondiale, con requisiti scientifici impeccabili che qualsiasi istituzione straniera ci invidia, conosciuti per la loro erudizione e le loro capacità a livello internazionale, che dovranno trovarsi a partecipare a un concorso per dimostrare il loro valore davanti a 5 membri di chiara fama nel settore del patrimonio culturale di cui loro potrebbero farne parte.
La procedura di selezione del concorso si concluderà il prossimo 15 maggio; a cosa porterà ne avremo un’idea dal 1° giugno.
Fra le altre riforme di legge del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ci sono quelle che riguardano la tutela e lo sviluppo del patrimonio culturale; la semplificazione del Grande Progetto Pompei; la valorizzazione del complesso della Reggia di Caserta; le misure per favorire il mecenatismo culturale (ArtBonus); “l’avvio alla possibilità di creare soprintendenze autonome, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, per i beni e i siti culturali di eccezionale valore. In questi ultimi e nei poli museali è prevista la figura dell’amministratore pubblico, da affiancare al soprintendente, con specifiche competenze gestionali e amministrative in materia di valorizzazione del patrimonio culturale”.
Approfittando di questo spazio dato al nuovo MiBACT, viene voglia di soffermarci su un’altra nota questione: il mercato antiquariale.
È proprio con questo Ministero che il mercato dell’arte deve dialogare per perorare le sue urgenze, anch’esse oramai di lontana data.
Un ordinamento di questo settore, raggruppato ad oggi senza linee di merito, valorizzerebbe gli antiquari italiani all’estero e con essi le capacità del nostro Paese di promuovere un mercato dell’arte d’eccellenza, come ci si aspetta da chi ha portato nel mondo  grandezza, capacità e bellezza.
Il mercato dell’arte quando è fatto con passione e rigore scientifico trova sempre rispondenza fra storici dell’arte e collezionisti italiani e internazionali.


"Il settore del mercato dell’arte può offrire, e nel tempo ha offerto, un sostegno competente al Paese: dal ritrovamento di opere rilevanti sul mercato straniero; alle donazioni e acquisizioni fatte grazie a una felice collaborazione tra antiquari e direttori di museo."


Senza addentrarci nelle specificità della questione, il settore del mercato dell’arte può offrire, e nel tempo ha offerto, un sostegno competente al Paese: dal ritrovamento di opere rilevanti sul mercato straniero; alle donazioni e acquisizioni fatte grazie a una felice collaborazione tra antiquari e direttori di museo.
La questione della libera circolazione delle opere d’arte è un altro di quei punti spinosi che meriterebbero di essere trattati, e trovassero finalmente pace in una legge adeguata all’attuale mercato dell’arte (siamo fermi, nel complesso, salvo pochi adeguamenti, a quella del 1939, quando davvero le opere uscivano dall’Italia con estrema facilità), e ancor di più su tutto l’articolato mercato dell’arte, che come il turismo, rivisto secondo il nuovo MiBACT, potrebbe essere un valido indotto per il nostro Paese.
Le mostre antiquariali, se non fosse per questo grosso limite dell’esportazione, chiamerebbero più antiquari e collezionisti stranieri nel nostro Paese, già attratti dall’arte e dal nostro stile di vita; un connubio tra turismo culturale e mercato dell’arte che potrebbe diventare un bacino di idee produttive: pensiamo a importanti eventi concomitanti, come mostre di livello internazionale, aperture esclusive dei musei, incontri con fondazioni coinvolte nel mecenatismo e visite riservate a luoghi d’arte per la raccolta fondi necessari a interventi di restauro.
Per questo vogliamo auspicare che “quelle disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte da più parti” del mercato antiquariale, trovino alfine una “completa riorganizzazione”.