All’ombra dei cipressi

Era detto il “poeta della morte” perché diede il suo meglio all’ombra dei cipressi e (fuori) dall’urne

di Marco Riccòmini

Qual è la ricetta segreta per fare qualcosa che rimanga e che, magari, marchi una tacca nel grande libro della storia dell’arte, come quelle che un tempo si segnavano col gesso sugli stipiti delle porte, accanto ad una data, per misurare l’altezza di chi andava crescendo a vista d’occhio? Scegliere le opere con cura, meglio se in un tempo dilatato, meglio ancora se queste sono tutte d’un artista ancora poco noto, a dispetto, magari, della fama che riscosse ai suoi giorni. Poi, avendo l’accortezza di continuare a girare (con un immaginario mestolo), così che la materia fin qui raccolta non s’avviluppi ed ingarbugli, affidare il tutto ad un maestro pasticciere (meglio se non uno di quegli chef che il volgo reputa stellati ma che non sanno neppure cucinare un uovo al tegamino senza fare una frittata), affinché metta ordine, e faccia risaltare i sapori. Infine, impiattare il tutto in un catalogo fatto ad arte. Detta così sembra semplice, ma non lo è affatto. Provate a chiedere alla Galleria Silva di Milano, che ha imbastito la mostra Leonardo Bistolfi – Simbolista visionario (fino al 18 novembre 2023), con catalogo a cura di Armando Audoli. Il piatto unico sono le creazioni in stucco, terracotta, marmo e bronzo dello scultore Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato 1859 – La Loggia 1933), il poeta che, come scrisse Ugo Ojetti, «parla agli uomini … abbattendo i fantocci delle mitologie defunte, rivelando noi a noi stessi». Era detto il “poeta della morte” perché diede il suo meglio all’ombra dei cipressi e (fuori) dall’urne. Ed oggi in via Borgospesso, al n. 12.