Sarà che il tempo passa (mi dico, cogliendo la mia immagine allo specchio) e, passando, sfuma i ricordi, ma più lo frequento e più Alberto somiglia a suo padre. Non tanto o non solo fisicamente, ma nel modo di parlare. Nel timbro della voce o nelle pause – come poneva Franco – tra un pensiero e l’altro, certo; ma soprattutto nell’essenza del suo pensiero. Che, col tempo, si è andato assottigliando, fino a scollinare su un versante più intimistico. Sarà perché fin dagli anni passati in Sapienza coltiva seppur ascosamente la ricerca, con approdi quali Marmorari e argentieri a Roma e nel Lazio tra cinquecento e seicento. i committenti, i documenti, le opere (1994) e, più recentemente, Jewish book bindings (2013). Emozionandosi o, meglio, commovendosi nel ripiegare davanti ai miei occhi un paramento a forma di corona a protezione d’un rotolo della Sefer Torah, il testo più sacro della liturgia ebraica. «Questi – spiega – erano oggetti che mio padre e prima di lui mio nonno Alberto acquistavano ma tenevano appartati, solo per i loro occhi e la loro anima. Come gli argenti o le legature, di cui ho pubblicato un volume, ricopiando ogni singola dedica a tracciare i vari passaggi di mano, per ricostruire una storia affinché non andasse perduta». E poi, scostandosi un poco dalla passione del padre per i dipinti, l’amore per gli oggetti, i marmi, Works of Art, come quelli in mostra nel 2021 Pietre Dure: A Look Behind the Curtain. Si, scostandomi; senza, però, dimenticare quel dipinto con un Miracolo di San Luca di Giovanni Lanfranco (Parma, 1582 – Roma, 1647) acquistato da Palazzo Barberini (2012).
Alberto Di Castro
A Look Behind the Curtain
di Marco Riccòmini