E venne il tempo delle donne antiquarie

Donne antiquarie, tra innovazione e leadership al femminile, ai vertici di un settore che sta lentamente cambiando pelle.

di Elena Caslini

Non è un mestiere per donne, dicevano un tempo alcuni antiquari italiani alle proprie figlie, desiderose di seguirne le orme. Come avrebbero potuto, si chiedevano, conciliare la vita familiare con un lavoro impegnativo, fatto di spostamenti continui e confronto costante con colleghi uomini? Alcune di quelle ragazze non si sono arrese. Hanno affrontato ostacoli e pregiudizi, dimostrando con determinazione di potercela fare. Hanno fatto tesoro dell’insegnamento ricevuto dai padri, della loro ampia visione e del bagaglio di competenze, per costruire carriere autonome. Altre, senza legami familiari nel settore, si sono ritagliate uno spazio grazie a studio, passione e costanza.

Pur restando ancora una minoranza, queste donne hanno contribuito a creare — o meglio, a far emergere — una nuova figura professionale: quella dell’antiquaria. Non più “moglie” o “figlia di”, ma professionista a tutti gli effetti. In modo forse inconsapevole, hanno aperto la strada a una nuova generazione di esperte che sta progressivamente normalizzando la presenza femminile in un settore complesso e in continua evoluzione.

Francesca Antonacci, Antonacci Lapiccirella Fine Art.

Tra le donne italiane nate nel mondo dell’antiquariato c’è Francesca Antonacci, romana, quarta generazione di una storica famiglia di antiquari. «Sono cresciuta nel bello e dentro questo mestiere», racconta. «L’ho visto fare da mia nonna e soprattutto da mio padre Giuseppe, con cui mi sono formata e da cui ho imparato moltissimo. Ma il mio percorso me lo sono guadagnato con passione e fatica». Affiancata oggi da Damiano Lapiccirella, nel 2003 apre la sua galleria (Antonacci Lapiccirella Fine Art) con una mostra dedicata al Neoclassicismo, tuttora il suo principale ambito di specializzazione. La qualità del suo lavoro le ha valso la stima di collezionisti, storici e studiosi, ed è anche grazie a lei se l’Ottocento e il primo Novecento italiano hanno iniziato a trovare spazio, seppur ancora marginalmente, in importanti musei internazionali — tra le sue vendite più significative, due opere di Sartorio acquisite dal Musée d’Orsay. «Nei musei internazionali l’arte italiana si ferma spesso al Vedutismo, poi c’è un vuoto. L’Ottocento italiano non viene promosso all’estero, se non grazie a noi galleristi. La vera urgenza oggi è semplificare la burocrazia: servono certificati di libera circolazione e “passaporti” per le opere, per poter competere con i colleghi europei e valorizzare davvero il nostro patrimonio».

Alessandra Di Castro, ph. Fiorenzo Niccoli.

Erede di una delle più illustri famiglie di antiquari romani, Alessandra Di Castro è stata la prima presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia. Compiuti i quarant’anni, si affranca dalla storica attività di famiglia, aprendo una sua galleria (Alessandra Di Castro Antiques) in Piazza di Spagna 4, dove definisce uno stile e un’identità propri. Partecipa alle più importanti mostre internazionali, riceve riconoscimenti e incarichi prestigiosi, tra cui la nomina come unico membro italiano dell’Executive Committee di Tefaf e l’incarico di Presidente del Gruppo Apollo, che da anni rappresenta l’industria dell’arte nel dialogo con le istituzioni nazionali. Un’interlocuzione quella con le istituzioni che vede al centro il tema critico della revisione dell’aliquota IVA per la compravendita d’arte, su cui Di Castro auspica «un intervento decisivo per rafforzare il mercato interno e allinearsi agli standard europei. Lo stesso governo ha ben compreso l’importanza di questa misura per garantire competitività e crescita a tutto l’ecosistema dell’arte». Di Castro sottolinea inoltre la necessità urgente di riformare la normativa sull’esportazione dei beni artistici, soprattutto adeguando le soglie di valore a quelle europee. «Oggi in Italia il limite è fissato a 13.500 euro», spiega, «una soglia unica per tutte le opere con più di settant’anni: la più bassa in Europa».

Tiziana Sassoli, Fondantico.

Tra le professioniste che non provengono da una famiglia di antiquari, c’è Tiziana Sassoli. «Mia madre era una collezionista e mi ha trasmesso la passione portandomi fin da piccola a mostre e musei, ma nella mia famiglia il mestiere dell’antiquario comincia con me», racconta. Nella sua galleria Fondantico, oggi a Palazzo Pepoli Bentivoglio a Bologna, si specializza da subito in dipinti antichi dell’area emiliana, dal XVI al XVIII secolo, diventando presto un punto di riferimento riconosciuto in questo ambito – è sua, ad esempio, la vendita della Danza Campestre di Guercino alla Galleria Borghese. «Ho sempre lavorato partendo da uno studio approfondito delle opere, proponendole sul mercato solo dopo accurate ricerche scientifiche e con attribuzioni il più possibile precise. Questo approccio mi ha permesso di ritagliarmi uno spazio riconoscibile e di affermarmi con credibilità in un ambiente complesso, in cui però non mi sono mai sentita davvero penalizzata in quanto donna. A mio avviso, quello dell’antiquario non è un mestiere né da uomini né da donne: a fare la differenza è la professionalità».

Miriam di Penta, Miriam di Penta Fine Arts.

Visione in parte condivisa da Miriam di Penta (Miriam di Penta Fine Arts), laureata prima in Scienze Politiche, e in Storia dell’Arte, oggi mercante specializzata in dipinti antichi italiani, con un percorso costruito sul campo, tra le storiche gallerie antiquarie di Via del Babuino a Roma, un dottorato di ricerca e un’esperienza come Specialist da Sotheby’s. La sua proposta espositiva fonde opere dal Cinquecento al Settecento – da Sodoma a Mattia Preti, da Orsola Caccia a Domenico Fetti – con lavori di grandi maestri del Novecento come Manzù, Campigli, Afro o Boetti, ponendo al centro un’idea di collezionismo che privilegia il gusto rispetto alla categoria. «Ho diversi colleghi uomini che mi stimano e mi sostengono», racconta. «Certo, in alcuni persiste ancora l’idea che le donne debbano occuparsi solo di arti applicate, ma per fortuna sono una minoranza.  Ciò che conta, in fondo, è sempre la qualità del lavoro. E come dice giustamente Tiziana, è grazie alla conoscenza, allo studio e al mio occhio che sono riuscita a farmi spazio in un ambiente estremamente competitivo, dove le colleghe donne non sono ancora molte. È fondamentale continuare a dimostrare, con competenza e determinazione, che talento, professionalità e rigore non hanno genere».

Maria Novella Romano, Romano Fine Art.

C’è chi invece ha scelto di specializzarsi in un ambito più di nicchia, percepito come più accessibile al mondo femminile: è il caso della fiorentina Maria Novella Romano, che insieme al fratello Mattia rappresenta la quarta generazione di antiquari nella sua famiglia (Romano Fine Art). «La mia scelta di concentrarmi sempre più sul disegno», spiega, «nasce innanzitutto da considerazioni legate alla stabilità del settore: il collezionismo di disegni ha una sua continuità, è molto colto e meno influenzato dalle fluttuazioni del mercato. Inoltre, il mondo del disegno è tradizionalmente più aperto alle donne, soprattutto a livello internazionale». Romano guarda comunque con ottimismo al futuro della presenza femminile nell’antiquariato: «La percezione sta cambiando anche in Italia, e sono certa che il contributo delle donne nel settore sarà sempre più riconosciuto e normalizzato. Non solo perché talvolta siamo più preparate e meticolose rispetto ai colleghi, ma anche perché tra noi c’è molta solidarietà. Non viviamo di rivalità, anzi: siamo estremamente collaborative».

A testimonianza di un panorama sempre più articolato e partecipato al femminile, è opportuno citare anche il contributo di altre professioniste che operano con autorevolezza nel settore, tra cui Giovanna Bacci di Capaci, Ida Benucci, Nicla Boncompagni, Eleonora Botticelli, Elena Camellini, Enrica de Micheli, Rosalia Fornaro, Clara Santini, Roberta Tagliavini e Maria Zauli. Inoltre, questo cambiamento di percezione si riflette anche nei nuovi assetti istituzionali. Un esempio concreto è la crescente presenza di donne nel Consiglio Direttivo dell’Associazione Antiquari d’Italia, dove, accanto a figure come Maria Novella Romano e Alessandra di Castro, compaiono anche voci più giovani del settore, come Giulia Gomiero e Valentina Vico.

Giulia Gomiero è cresciuta circondata d’arte, tra antiquari, collezioni e musei visitati seguendo nei viaggi il padre Diego Gomiero. «L’arte di ogni epoca ha fatto parte della mia vita fin dalla prima età», racconta, rievocando un’infanzia in cui l’arte è sempre stata passione, necessità e presenza quotidiana. Nel 2022 ha fondato la propria attività scegliendo di interessarsi all’arte senza confini cronologici. «Non credo nelle nette divisioni tra antico, moderno e contemporaneo, sono facce della stessa medaglia, l’arte è sempre contemporanea. Serve un nuovo sguardo, capace di riconoscere continuità. Noto con piacere che sempre più collezionisti di contemporaneo si appassionano al mondo dell’antico e viceversa.» Sin dalle sue prime partecipazioni come Galleria Gomiero alla Biaf di Firenze e a Miart a Milano, ha messo in pratica questa visione affiancando artisti, architetti, e designer di epoche e linguaggi diversi – creando suggestivi allestimenti in cui, ad esempio, Mirco Basaldella dialoga con Patrick Tuttofuoco, e Giacomo Manzù con Martin Soto Climent.

Donne antiquarie, tra tradizione e leadership al femminile ai vertici di un settore che sta lentamente cambiando pelle.
Valentina Vico, Benappi.

Rispetto alle altre protagoniste, Valentina Vico rappresenta una figura leggermente diversa: non una “figlia d’arte”, né una titolare, ma una presenza forte e riconosciuta all’interno di una galleria a conduzione familiare. Direttrice di Benappi Fine Arts dal 2016, ha seguito un percorso di crescita interno alla galleria, che ha contribuito a far evolvere nel tempo, lavorando al fianco di Filippo Benappi per oltre tredici anni. «Un tempo il mercato antiquario domestico era più largo e semplice, e avere una galleria in Italia rappresentava un traguardo importante. La nostra generazione, invece, si è trovata davanti a una sfida che Filippo ha scelto di cogliere: portare una realtà italiana consolidata su un piano internazionale». È proprio la condivisione di questa visione che, nel 2016, spinge Vico a trasferirsi a Londra, dove oggi ha sede principale la galleria, con l’obiettivo di contribuire alla sua affermazione sul palcoscenico globale. Oltre al suo ruolo nel Consiglio Direttivo dell’Associazione Antiquari d’Italia, Vico è anche membro del Tefaf Board of Trustees, incarico prestigioso per il quale ancora una volta è stata scelta e valorizzata una donna. «Non provengo da una famiglia del settore, e non sono la proprietaria della galleria», precisa. «La mia credibilità l’ho costruita con il lavoro, ma anche grazie all’opportunità di crescere accanto a Filippo, uomo lungimirante e generoso, che – cosa tutt’altro che scontata nel nostro settore – ha scelto di darmi fiducia fin dall’inizio, senza mai temere, nemmeno per un secondo, di lasciare spazio a una donna».