May you live interesting times (Che tu possa vivere in tempi interessanti) augurava il sottotitolo della Biennale di Venezia del 2019. Da quel momento il mondo ha conosciuto la pandemia, nuove guerre, crisi economiche, e ora i primi cento giorni del secondo mandato presidenziale di Donald Trump, la cui schizofrenica, ancorché motivata, politica doganale ha interessato solo in parte le importazioni di beni artistici negli USA. A prescindere dalla sospensione di 90 giorni applicata poche ore dopo l’entrata in vigore del pacchetto della discordia del 9 aprile 2025, le voci che interessano le opere d’arte (capitolo 97 dell’Hamonized Tariff Schedule, revision 12) recano tutte un rassicurante “free” nella colonna dedicata all’eventuale percentuale sul valore applicata come dazio. Rimangono il Merchandize Processing Fee, ossia lo 0,34% con tetto a 600 dollari, e il cosiddetto Bond, per le agenzie che non hanno una posizione fiscale negli USA, anche questo con limiti minimi e massimi. Il totale non supera l’1% del valore dichiarato.

“I corrispondenti americani assicurano che per le voci doganali relative a dipinti, sculture, disegni e stampe non cambierà nulla rispetto allo status quo” conferma Andrea Benedetti di Apice, e sottolinea come il problema riguarda piuttosto la natura degli oggetti ed eventualmente la loro provenienza. Infatti, secondo Francesco Ferri della fiorentina Fracassi shipping, dopo la sospensione, e qualora l’Unione Europea e gli States non si accordino diversamente, saranno gli arredi o, in genere, gli oggetti decorativi, ossia gli oggetti che non rientrano tra quelli indicati dal capitolo 97, ad essere tassati. Una sedia, un tavolo o una specchiera al momento attuale vengono considerati oggetti d’arredo, prima che opere antiquarie, perciò passibili di dazio al 10%. Certo, si può dichiarare che l’oggetto in questione è una scultura, come ha provato a fare qualche galleria che ha partecipato all’ultima edizione di Tefaf New York. “Ma se al momento della verifica la dogana non è concorde con la definizione allora, oltre al dazio, c’è l’ammenda” ricorda Gianni Renosi, titolare di Ferrari e Lorenzi, spedizioniere di seconda generazione.

Nel tourbillon doganale gli americani non sembrano del tutto sprovveduti, ed è facile pensare che anche la zona grigia relativa agli oggetti antichi troverà una soluzione sensata. Del resto, l’assenza o quasi di barriere doganali sull’importazione negli USA di opere d’arte – ossia opere con più di 100 anni di vita – ha per anni messo i collezionisti americani e le molte istituzioni da loro foraggiate nella miglior posizione possibile per incamerare beni artistici da tutto il mondo, Italia in primis. Effettivamente, non già per le opere di importo minore, ma soprattutto per quelle più costose, antiche e rare, perciò più esposte all’incidenza del dazio, l’idea di dover pagare di più per assicurarsi la proprietà del bene non servirebbe a proteggere un eventuale mercato interno, che comunque non dispone della materia prima in questione. E’ invece più probabile che la barriera finirebbe per inibire le importazioni, magari direzionando i capitali verso altri beni ritenuti più convenienti. Ma a quel punto significherebbe anche che, da paese colonizzatore che cresce e si afferma nutrendosi anche delle culture altrui, gli Stati Uniti diventerebbero un paese “normale”, che per sopravvivere deve proteggere il proprio mercato interno.

Se e a che punto si trovi l’eventuale processo di decadenza dell’impero statunitense ha provato a capirlo Ray Dalio (fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo) in Changing the World Order (2021). Dal punto di vista del mondo antiquario quel che possiamo fare è registrare quanto riscontrato dalle agenzie di shipping americane. Secondo Jo Ferrara, General Manager di Freight Italia, sussidiaria di NTG Air & Ocean: “l’importazione di arte e antiquariato dall’Italia ha subito un rallentamento da inizio anno, in parte a causa dell’introduzione di una tariffa del 10% e dell’instabilità mondiale. Tuttavia, data la natura unica di tali beni e la consistente base di consumatori benestanti statunitensi, stiamo assistendo a un ritorno della crescita”. Di questa contrazione, forse solo in parte dovuta ai nuovi dazi, ha parlato anche dell’Art Market Report 2025 di Arts Economics, la cui fotografia del mercato dell’arte americano è coerente con quanto sperimentato sul campo anche da Claudio Liuzzi, CEO di Euro Express: “per i noi gli Stati Uniti continuano a essere il primo mercato di esportazione, ma le pratiche da qualche anno sono in calo”.
Prevedere il futuro è impossibile, come i migliori economisti insegnano, anche se provare a fare previsioni sul futuro è necessario (D. Kahneman, Thinking Fast and Slow, 2011). Infatti, in molti provano a indicare la via. Dal Convento di San Francesco di Coimbra, la scorsa settimana l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha lanciato l’ennesimo appello all’Europa, perché metta finalmente in campo politiche di resistenza all’idea di “vassallaggio felice”, perché “credere che torneremo alla normalità nel commercio con gli Stati Uniti dopo una rottura così grande nella relazione è una scommessa”. E, ha detto Draghi: “dovremmo chiederci come mai siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli”. Più che i dazi, forse il punto su cui riflettere è davvero questo.
19 Maggio 2025