Collezionare arte: nove libri per un mestiere

Abbiamo scelto nove libri, che parlano dell'arte di collezionare arte, e delle risorse che questo istinto primordiale può rivelare.

di Carlo Prada

Per qualcuno collezionare arte non è lavoro, al contrario di farne commercio. Eppure, ripercorrendo le vicende che i libri sul collezionismo d’arte raccolti nella lista che segue raccontano è impossibile non rendersi conto di quanto labile sia il confine tra questi due modi di vivere l’esperienza del possesso dell’opera. Leggerli significa garantirsi una considerevole quantità di indicazioni, che è probabile si rivelino molto utili, che stiate al di qua o già al di là della barricata. Già. perché come il commercio, anche il collezionismo è un’attività che affonda le radici nell’essenza più primordiale dell’essere umano, e che perciò tende a mantenersi uguale a se stessa nel tempo e nello spazio. Ed è un’attività che qualche volta sfocia in una vera e propria professione, quella del mercante appunto.

Jean-Honoré Fragonard, Young Girl Reading, c. 1770, oil on canvas. National Gallery of Washington, USA.

Burton B. Fredericksen, The Burden of Wealth: Paul Getty and his museum, 2015. Si tratta del racconto più disilluso, dettagliato, e ben informato della straordinaria vicenda collezionistica di Jean Paul Getty e di tutto quel che è successo, nel bene e nel male, alla grande istituzione americana dopo la morte del suo fondatore (che nel 1965 aveva pubblicato The Joys of Collecting). Fredericksen è stato un diretto collaboratore di Getty sin dagli esordi, all’inizio degli anni Cinquanta del secolo, e ha pubblicato questa sorta di testimonianza oculare appena dopo essere andato in pensione, trattando con dovizia di particolari le grandi acquisizioni, gli acquisti meno fortunati e le lotte di potere scatenatesi dopo la dipartita del fondatore. Il testo è fondamentale per chiunque voglia avere un’idea chiara di quanto gli Stati Uniti e loro capitali abbiano influito nel determinare geografia e volume del mercato dell’arte antica europea. In questo quadro, oltretutto, spicca la figura di Federico Zeri, protagonista sulla scena internazionale dello sviluppo della più estesa, anche se probabilmente non la migliore, collezione privata d’arte al mondo.


Catherine Hickley, The Munich Art Hoard, 2016. La vicenda di Hildebrand Gurlitt è emblematica riguardo alle dinamiche che i conflitti bellici possono portare nel campo dei beni artistici. Al di là del fatto di cronaca, e degli eccessi mediatici che il ritrovamento nel 2012, da parte delle autorità tedesche, del corpus di opere lasciate da Hildebrand figlio Cornelius, il libro ben restituisce il ruolo che le opere d’arte continuano ad avere anche quando i valori dell’economia sono radicalizzati dalle esigenze belliche. Il concetto di bene-rifugio non potrebbe trovare spiegazione migliore, anche perché il racconto attraversa un cono storico da cui la società in cui ci troviamo direttamente deriva.


Christopher Mason, The Art of the Steal, 2005. Impossibile pensare di avere più dettagli sulla vicenda giudiziaria che ha interessato A. Alfred Taubman, dal 1983 maggior azionista di Sotheby’s. Anche in questo caso, il punto non è la condanna per “price fixing” in cui l’uomo d’affari statunitense è incappato per essersi accordato con la concorrente Christie’s in modo da rendere le commissioni sui venditori non negoziabili. Piuttosto, attraverso la puntualissima testimonianza del protagonista, Christopher Davidge, ex chief executive di Christie’s, il libro offre uno spaccato sociale ed economico del mondo a cui le grandi case d’asta internazionali si rivolgevano a cavallo tra i Novecento e il nuovo millennio. Se poi, dopo aver letto il libro, si guarda all’asta della collezione di Taubman, battuta in tre tempi nel 2015 (link), dà anche l’idea di quanto si possa effettivamente raccogliere collezionando arte con disponibilità economiche, competenza, passione, e le migliori informazioni.


Richard L.Feigen, Tales From the Art Crypt, 2000. Scomparso nel 2021 a 90 anni, Feigen è stato il primo mercante in grado di trattare antichità e arte contemporanea con la stessa competenza. A lui si deve la prima mostra di Francis Bacon negli Stati Uniti, ma il mercante di Chicago ha lavorato anche con Jean Dubuffet, Claes Oldenburg, Joseph Cornell, James Rosenquist, e Ray Johnson, quando questi erano artisti emergenti, o quasi. Il libro è una biografia professionale che aiuta a capire quale fosse il contesto in cui sono nati colossi del mercato del Novecento, e quali fossero le loro fonti di approvvigionamento.


Suzanne Muchnic, The Odd Man In: Norton Simon and the Pursuit of Culture, 1998. L’unica biografia disponibile del grande collezionista americano è forse un po’ benevola, ma senz’altro ha il pregio di rendere giustizia alla professionalità con cui Simon ha inteso il suo ruolo di collezionista. Da un certo punto in avanti per Simon collezionare è stato un lavoro a tutti gli effetti, dove ha portato le sue competenze imprenditoriali per metterle al servizio di un disegno che oggi risulta filantropico, più che autocelebrativo. Sono pochi gli imprenditori che, partiti da poco, hanno saputo (e potuto) distaccarsi dalle proprie aziende per dedicarsi al collezionismo. Simon è un role model che oggi trova pari solo nell’industria del lusso, che però della cultura ha una visione chiaramente più strumentale.


Erling Kagge, Poor Collector’s Guide to Buying Great Art, 2015. Ci sono collezionisti che seguono gli altri e collezionisti che del gregge sono guida. Erling Kagge appartiene alla seconda categoria. Editore, avvocato, ma soprattutto esploratore, al quale il Time ha dedicato la copertina definendolo l’eroe che per primo ha raggiunto i tre Poli (quello sud in solitaria). Guida una Rolls Royce (decorta da Franz West) e nel suo libro, che fa il verso al leggendario Confessions of a Poor Collector di Eugene M. Schwartz (1979), Kagge dimostra di essere andato ben oltre i limiti dell’esplorazione geografica. Collezionista appassionato e devoto, tra i più importanti dell’attuale panorama, è un pioniere che dispensa consigli preziosi rivolti a chi desidera imparare a destreggiarsi nel mondo dell’arte. Sebbene Kagge tratti solo arte contemporanea, i suoi suggerimenti possono essere universalmente applicati: “affidatevi al vostro istinto, esigete qualità. Solo così, un giorno, il mercato inseguirà voi” (lo disse anche Ernst Beyeler), oppure “il vero collezionista è colui che costruisce una collezione senza guardare al profitto”; e “chi ha un budget illimitato, di solito possiede collezioni noiose”. Quella di Kagge è una voce limpida e fuori dal coro, tra il filosofico e il concreto, ricca di aneddoti sempre strumentali.


Christophe Mory, Ernst Beyeler, A Passion for Art, 2011. Se oggi Basilea è un polo d’attrazione internazionale così importante per mercanti, collezionisti, addetti ai lavori e appassionati d’arte, il merito è anche di Ernst Beyeler (1921-2010). Le duecento opere della sua collezione sono il fiore all’occhiello della fondazione da lui voluta e affidata a Renzo Piano, inaugurata a Riehen nel 1997. In una serie di conversazioni con Christophe Mory, Beyeler, personificazione attuale del personaggio di Sylvestre Bonnard così brillantemente delineato da Anatole France nel 1881, racconta l’evoluzione da antiquario specializzato in libri a mercante d’arte, nelle cui mani sono passati capolavori di Pablo Picasso, Alberto Giacometti e Francis Bacon. Citando Léger, Beyeler osserva come “la graziosità sia nemica della vera bellezza”, invitando quindi a valutare un’opera d’arte in base a come essa sfida l’osservatore. Svela poi alcuni trucchi del mestiere, confessando di “aver sempre reperito un secondo potenziale acquirente per piazzare un quadro, in modo da influenzare psicologicamente il primo interessato” e “di non accostare mai tra loro capolavori e opere di artisti minori, perché il genio viene così svilito”. Sono perle di saggezza, distillate lungo il racconto di ricordi personali, capaci di imprimersi nella memoria del lettore invitato a consolidare il proprio punto di vista.


Luc Boltanski e Arnaud Esquerre, Arricchimento, una critica della merce, 2021. Siamo circondati da merci. Se ieri, seguendo il pensiero di Benjamin, il lusso si vantava della sua “cieca fiducia nel progresso” e della sua origine “industriale”, il flaneur del XXI secolo è immerso in una realtà completamente diversa. L’accumulazione capitalista continua, ma si basa su nuovi dispositivi economici associati alla valorizzazione dei beni-feticcio. La parola chiave dello studio condotto dai sociologi Boltanski ed Esquerre è “arricchimento”, analizzato nella sua duplice valenza di valore aggiunto a qualcosa di preesistente ottenuto attraverso il racconto che ne alimenta la leggenda e la desiderabilità; e, in secondo luogo, da intendersi come sfruttamento del commercio di beni che sono innanzitutto destinati alle classi agiate e costituiscono per queste ultime, una fonte supplementare di potenziamento. Gli studiosi indagano con cognizione di causa il valore, il commercio e il collezionismo di opere d’arte, attraverso confronti storici, sociologici e letterari, e forniscono una dettagliata analisi psicologica delle figure del mercante, del collezionista e degli oggetti di valore. Un testo ben documentato e complesso che getta luce sulle dinamiche, spesso opache ma universalmente condivise, del mercato del lusso.


Bruce Chatwin, Utz, 2000. La passione per gli oggetti può diventare una ragione di vita: è un amore che distrugge o salva? Utz sorride e danza, solo, in mezzo alla collezione di porcellane di Meissen, stipate sugli scaffali in file di sei. Sono la sua gioia, la sua ossessione. Sullo sfondo una Praga grigia claustrofobica, quella della cortina di ferro, retta da un regime vessatorio che minaccia il fragile amore del nostro barone decaduto, Bruce Chatwin costruisce un giallo tra realtà e finzione, esaminando da vicino “la malattia del collezionismo”. Utz, respinge lo squallore del mondo, coccola Arlecchini e Colombine, sublimandoli in un’esperienza estetizzante. Il culto della bellezza diviene così un atto di resistenza contro gli orrori del presente, il talismano per non arrendersi all’oppressione. Ma “il segreto mondo lillipuziano” è anche la sua catena, perché il barone non può fuggire lasciandoselo alle spalle. Questo libricino di poco più di cento pagine, l’ultimo scritto da Chatwin noto per i suoi diari di viaggio, nasce da un’esperienza autobiografica, l’incontro con un accumulatore seriale morto senza lasciare tracce della sua collezione (lo scrittore lavorò anche per la casa d’aste Sotheby’s e di accumulatori ne avrà conosciuti davvero tanti). Nel 2011, grazie anche ad alcuni spunti presenti nel libro, la collezione del vero Utz è stata ritrovata in un caveau in Svizzera, restituita agli eredi (che del romanzo di Chatwin erano del tutto ignari) e poi battuta all’asta per una cifra milionaria. Si chiude così il cerchio: dalla realtà alla fiction, e ritorno.