Nel mondo delle aste capita talvolta che l’attenzione si concentri soltanto sui record e sulle aggiudicazioni clamorose, sugli exploit da prima pagina che – anche se ormai sono sempre più rari – dettano le oscillazioni del mercato. Ma accanto a questa dimensione più spettacolare ve ne è un’altra, più silenziosa, che merita di essere raccontata: quella dei lotti che restano “in bianco”, invenduti, apparentemente dimenticati. Non sempre, infatti, un esito d’asta negativo coincide con la scarsa qualità di un’opera. Al contrario, in molti casi proprio questo mancato incontro tra offerta e domanda diventa occasione preziosa perché un bene torni a essere valorizzato e, in alcuni casi, “salvato”.
Un esempio emblematico è quello che riguarda un frammento della monumentale Pala Fodri di Boccaccio Boccaccino (Ferrara?, 1462/ante 1466 – Cremona, 1525), pittore “raro” ed “eccellente” secondo Giorgio Vasari, da annoverare tra i protagonisti assoluti del Rinascimento nell’Italia settentrionale. Rimasto invenduto all’asta cremonese di Millon il 27 settembre 2023 (lotto 31), il dipinto – nel frattempo notificato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Cremona, Lodi e Mantova – è stato successivamente acquisito dal Museo Diocesano di Cremona. Non un ripiego, dunque, ma un colpo di lungimiranza culturale, capace di restituire alla città un tassello fondamentale della parabola artistica del suo autore.

Il destino di questo frammento, parte di una pala commissionata nel 1523 dagli eredi di Benedetto Fodri per l’altare maggiore della chiesa di San Pietro al Po a Cremona, è la dimostrazione di come il meccanismo del mercato non esaurisca mai la vita di un’opera. Anzi, proprio l’“occasione mancata” dell’asta ha reso possibile un acquisto virtuoso, grazie al quale oggi il pubblico può rileggere l’ultimo capitolo della vicenda di Boccaccio Boccaccino in un contesto di ricerca e valorizzazione. Il Museo Diocesano, che già custodisce capolavori come l’Annunciazione Ludovisi, la Crocifissione del Duomo e la Sacra Famiglia con Maria Maddalena già in San Luca, aggiunge così una quarta opera capitale alla collezione, confermando il suo ruolo di centro privilegiato per lo studio e la conoscenza del pittore. A prescindere dal ricorrere del cinquecentenario della morte dell’artista, non è un caso che proprio attorno a questo acquisto sia sorta la volontà di allestire la prima mostra monografica dedicata a Boccaccino, Il Rinascimento di Boccaccio Boccaccino, curata da chi scrive e da Filippo Piazza.

La mostra vanta prestiti di grande rilievo, concessi dalle Gallerie degli Uffizi, dalla Pinacoteca di Brera, dalla Galleria Estense di Modena, dal Museo di Capodimonte, dal Museo Correr e dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Ripercorre l’intera vicenda di Boccaccino, dai primi lavori ferraresi alle prove veneziane intrise di suggestioni giorgionesche, fino alle ultime imprese cremonesi. Il percorso culmina proprio con il frammento della Pala Fodri, acquistato grazie a quell’asta “andata in bianco” che, paradossalmente, ne ha permesso la rinascita.

Questa vicenda, allora, solleva una riflessione più ampia sul carattere virtuoso delle aste, quando queste ultime si intrecciano con una visione lungimirante della tutela da parte delle Soprintendenze e con le serie politiche di acquisizione dei musei. Non sempre, infatti, il collezionismo privato è il destinatario ideale di un’opera, specie quando si tratta di beni strettamente legati a una città e al suo tessuto culturale. Qui, tuttavia, è opportuno notare come a farsi carico dell’acquisto non è stata l’istituzione pubblica locale, non il Comune di Cremona o un ente civico, bensì un’istituzione privata di matrice ecclesiale. È il Museo Diocesano che, con coraggio e senso di responsabilità, ha saputo cogliere l’occasione e restituire al pubblico un bene che rischiava di restare escluso dal patrimonio condiviso. Una dinamica, questa, che da un lato conferma la vitalità delle realtà culturali spesso indebitamente liquidate come “periferiche”, dall’altro lascia intravedere una certa latitanza delle istituzioni pubbliche, meno pronte a investire anche laddove il valore storico-artistico è evidente.
Il frammento della Pala Fodri, un tempo pensato per un altare cremonese, non poteva dunque trovare collocazione più consona del Museo Diocesano della stessa città, dove dialoga ora con i dipinti che ne testimoniano il percorso e, idealmente, con il grandioso ciclo di affreschi con le Storie della vita della Vergine e della passione di Cristo, avviato proprio da Boccaccio Boccaccino nel 1514 e proseguito da altri maestri, tra cui spiccano, accanto a Gianfrancesco Bembo e Altobello Melone, il bresciano Girolamo Romanino e il friulano Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone.

Boccaccio Boccaccino, interprete intelligente della lezione leonardesca a Milano e delle novità giorgionesche a Venezia, seppe innestare nel linguaggio del Rinascimento padano una vena classicheggiante e serena, che ancora oggi sorprende per equilibrio e grazia. Proprio nel frammento della Pala Fodri, nonostante l’età avanzata e il volgere della carriera, l’artista mostra la sua capacità di aggiornarsi e di mantenere un ruolo di primo piano nelle commissioni cittadine. Non si tratta, quindi, di un “pezzo minore”, ma di un documento prezioso per comprendere l’ultima stagione creativa del maestro.
L’invenduto delle aste non è, dunque, una condanna, ma può trasformarsi in momento di riscatto: dalle mani esitanti dei compratori privati al gesto deciso di un museo che sceglie di investire sul patrimonio comune per il recupero di un bene tanto identitario. In questo senso la mostra di Cremona non è soltanto un tributo a un maestro del Rinascimento, ma anche la celebrazione di una politica culturale che sa cogliere le opportunità offerte dal mercato. È un insegnamento da non sottovalutare: laddove la logica del collezionismo non individua immediatamente il valore, può inserirsi la lungimiranza delle istituzioni, capaci di trasformare un “invenduto” in un’occasione di studio, di esposizione e di consapevolezza collettiva.
Il frammento della Pala Fodri, tornato alla luce peraltro dopo un delicato restauro, è quindi non solo un’immagine da ammirare, ma anche un simbolo di questa dinamica virtuosa. La sua presenza in mostra ricorda, una volta di più, che ogni opera d’arte ha una storia complessa, fatta di passaggi, di dispersioni e di riscoperte, e che sono proprio questi intrecci a regalare talvolta al pubblico le occasioni più preziose.
3 Ottobre 2025